Il blog letterario del Liceo Classico "Diodato Borrelli"

     di Santa Severina

Luca Bianchini "So che un giorno tornerai" di Ines Iannone, classe II B

"So che un giorno tornerai" è un romanzo dell'autore torinese Luca Bianchini, edito da Mondadori e pubblicato per la prima volta il due ottobre 2018. E' una narrativa contemporanea che raccoglie diversi temi di riflessione: la ricerca della propria identità e delle proprie origini, gli amori sfuggevoli ed indimenticabili, le responsabilità di un genitore, la nostalgia e l'abbandono. E' la bella Trieste a fare da scenario a questa intrigante storia ambientata nel 68' ma ancora attualissima; la città friulana diventa una dei protagonisti, libera e anticonformista, a confine tra Italia e Jugoslavia. Insieme ad essa gli altri protagonisti sono Angela, Pasquale ed Emma, intorno alla quale girerà quasi tutto il romanzo. Angela è una ventenne di Trieste che per la sua età ha già sofferto molto; è stata ingannata da Pasquale, un jeansinaro di Santa Severina affascinante e già sposato. Non impiegò molto a diventare la madre di Emma, non riconosciuta dal padre per il semplice motivo di esser nata femmina. Angela aveva altri progetti, amava la moda, sognava di diventare come  Monica Vitti e ben presto decide di abbandonare la bambina per rifugiarsi a Bassano insieme ad un altro uomo. Emma crescerà insieme agli zii e ai nonni materni, diventando la figlia di tutti e di nessuno finché non si rimetterà sulle tracce del padre, scappato con la moglie a Santa Severina, e per lui sarà l’occasione di rivedere Angela, un amore indimenticabile. Personalmente vedo in Angela ed Emma la personificazione del capoluogo friulano: la prima in bilico tra i suoi sogni e la sua sfortuna, come Trieste fra l’Italia e la Jugoslavia, e la seconda indipendente, contraria ad ogni tipo di regime. La figura di Pasquale, che in un primo momento può essere interpretata come una persona menefreghista, è in realtà molto debole, costretto a preferire il ruolo che la società gli ha assegnato anziché l’amore vero, quello che ti fa sentire vivo. Un altro tema ricorrente del romanzo è l’evoluzione, all’inizio vediamo subito sbocciare una donna con in mano le sue responsabilità nel corpo di una ventenne e man mano, proseguendo con la lettura, notiamo la crescita di Emma senza il calore e l’affetto che i genitori avrebbero dovuto dimostrarle da piccola. Ciò che più ho apprezzato di questo romanzo è il pragmatismo quotidiano utilizzato da Bianchini, raccontando una storia tragica e realista senza perdersi in moralismi o perbenismi. Lo scrittore ha infatti scelto uno stile frizzante ed una scrittura delicata, quasi poetica, che esalta ironicamente i sentimenti, arrivando al cuore dei lettori. Altro aspetto che mi preme sottolineare di “so che un giorno tornerai” è la precisione storica e la ricostruzione di particolari che ci raccontano un'epoca con poche e velocissime pennellate (fabula e intreccio non coincidono). Colpi di scena improvvisi si susseguono senza una vera logica, amori sfuggiti vengono vissuti e dimenticati per poi lasciar posto a nuovi incontri passeggeri. Grazie a questo libro ho capito che, durante un abbandono, una ferita a un certo punto può anche guarire, ma sull’anima resterà per sempre la sua cicatrice. Il messaggio che ho colto è che la vita va presa con leggerezza poiché è come Trieste: a volte la bora soffia violentemente fra il suo mare e le sue piazze, ma poi si quieta sempre. Serve il coraggio di avere speranza, di cambiare e di scegliere; il coraggio di chiedere scusa senza aspettarsi per forza il perdono. E’ la forza di amare e di amarsi. Un romanzo bellissimo, che scalda il cuore anche se fuori tira vento forte. Consiglio questo libro a tutti gli adolescenti come me, poiché io ho imparato tanto sfogliando queste pagine. Inoltre auguro una buona lettura a chi prova ad essere felice nonostante tutto e a chi si complica la vita seguendo un amore impossibile perché “alla fine, ognuno di noi s’innamora di chi ci guarda per un attimo e poi ci sfugge per sempre”.                                

A. Jiurickovic Dato "La figlia femmina" di Benedetta Persico

“La figlia femmina” è la storia che non ti aspetti. Uno di quei libri che colpisce per la copertina estatica e il titolo minimalista e sfuggente. Una bella confezione è un chiaro indizio: nulla è stato lasciato al caso. Non è un libro da lasciare in sospeso. È un libro che si legge in una notte, che si manda giù tutto in una volta come una dose di antibiotico. È una mousse dolce e sinuosa, da assaporare con calma. La prosa curata di Anna Giurickovic Dato, al suo debutto, travolge e immobilizza. Uno stato febbrile confonde e duplica i contorni degli eventi, delle emozioni, dei rapporti. Cerchi concentrici di affetti e affezioni, intersezioni entro cui intravedere la verità. Salti temporali e spaziali, tra un’infanzia rubata e un’adolescenza monca, tra Rabat e Roma le parentesi descrittive di una storia terribile e attraente, crudamente eschilea. Pedofilia, incesto, parricidio, incapacità di esercitare la responsabilità genitoriale. Nonostante la forte carica erotica lo stile della Giurickovic non scade mai nella volgarità, né rientra negli schemi di certi romanzi di denuncia con un intento più o meno educativo. Non fa fede a nessuna certezza e alcun quadro di riferimento. Maschi e femmine, colpevoli e innocenti, burattini e burattinai si scambiano i costumi nel buio retro di un teatro. Un  uomo facoltoso è un pedofilo, una moglie condiscendente è una pessima madre e una bambina abusata è una bellezza efebica, perversa e ammaliante. A chi credere? Niente è quel che appare. L’apparenza è tutto.

TREDICI, J. ASHER di Aurora Scaccia classe I B

Tredici è un romanzo thriller psicologico.

Il liceo locale di un classico sobborgo americano e una piccola cittadina americana sono i luoghi dove si svolge la storia. Il tempo della narrazione viaggia tra passato e presente. Molti sono i personaggi, i principali sono:

-       Clay Jensen, un ragazzo sensibile, buono, diverso dagli altri, amico di Hannah.

-       Hannah Baker, la protagonista del racconto. Una ragazza che appare tranquilla, presa di mira da quelli che si identificavano come suoi amici arriva al suicidio. Prima di morire registra 13 cassette su ognuna di esse registra la motivazione del suo suicidio.

-       Tony Padilla, amico di Clay e Hannah, molto onesto e leale. Ha il compito di assicurarsi che tutti i destinatari delle cassette le ricevano e ascoltino.

-       Olivia Baker, La madre di Hannah, che Distrutta dalla morte della figlia, darà il via a un processo legale contro la scuola, avendo capito che la figlia era vittima di bullismo, diffuso in tutto l'ambito scolastico.

Clay Jensen, al ritorno di scuola sulla porta di casa trova una scatola con il mittente anonimo.

Aprendola vi trova 13 cassette e, ascoltandole, non può credere alle sue orecchie. La voce che gli sta parlando appartiene ad Hannah, la ragazza di cui è innamorato dalla prima liceo, la stessa che si è suicidata soltanto un paio di settimane prima. Clay è sconvolto, da un lato non vorrebbe avere nulla a che fare con quei nastri. Hannah è morta, e i suoi segreti dovrebbero essere sepolti con lei. Ma dall'altro, il desiderio di scoprire quale ruolo ha avuto lui nella vicenda è troppo forte. L’autore usa un linguaggio semplice adatto al pubblico al quale è indirizzato il libro.Quindi la lettura procede molto velocemente. Il narratore o meglio, i narratori, sono due: Hannah e Clay. Sono interni ma dialogano in modi differenti, Hannah tramite le registrazioni e Clay in tempo reale mentre le ascolta, entrambi in prima persona. Il punto di vista è interno variabile, vi è il punto di vista di chi racconta la storia, Hannah, e il punto di vista di chi invece ascolta la storia e rimette insieme i pezzi come un puzzle, Clay.

Molti sono gli arricchimenti ricevuti da questo romanzo, tratta di bullismo, cyber bullismo, stupro, violenza, amicizie false e amore adolescenziale. Ci fa capire che le azioni svolte senza pensare, possono ricadere negativamente sulle persone.

L’ autore vuole sottolineare i mali dell'adolescenza: il sentirsi diverso, l’isolamento, l’insoddisfazione. Il 90% degli adolescenti probabilmente può riconoscersi in Hannah Baker e nei motivi che l'hanno spinta alla più drastica delle decisioni.

Ma cosa si prova a sapere che tu potresti essere la causa di ciò?

Jay Asher fa entrare il lettore in uno stato di continua tensione, che si divide tra la mente di un ragazzo colpevolizzato improvvisamente della morte di un’amica e quella di una ragazza che il mondo non ha capito, che gli altri non hanno saputo trattare e che da morta vuole concedersi una seconda possibilità di essere ascoltata. E' questo il dramma dei giovani d'oggi, poco ascoltati, poco considerati, troppo giudicati dagli adulti, dai coetanei e da se stessi.

Sono stata attirata da questo libro perché di grande attualità.  In questo periodo si sentono tante storie di bullismo, spesso terminate in gesti disperati. Tredici è la storia di come degli scherzi "innocenti" o come delle parole dette o non dette possano portare un'adolescente a decidere che non vale la pena vivere. Senza dubbio un libro coinvolgente, che attira l'attenzione già dalla trama. Da questo punto di vista non delude le aspettative.

Jay Asher ha scritto un bel teen che fa riflettere su quanto i ragazzi possano essere crudeli e su quanto possano provocare gravi segni su persone troppo fragile per questo mondo.

E. Allan Poe "Il pozzo e il pendolo" di Marta Pugliese IV A

il pozzo e il pendolo

Edgar Allan Poe

Edgard Poe nato in America, fu uno scrittore e un critico letterario dell'ottocento é l’iniziatore del racconto poliziesco, della letteratura dell'orrore e del giallo psicologico. Muore in circostanze misteriose il 7 ottobre del 1849.

Il pozzo e il pendolo, fu scritto nel 1842, il racconto di genere horror è ambientato nel periodo dell'inquisizione spagnola. Grazie alla particolare attenzione dell'autore, la tensione non si concentra sugli eventi soprannaturali, ma sulle percezioni sensoriali, marcando le emozioni e le reazioni psicologiche umane, come la paura, la perdita di lucidità sino alla pazzia e l’ossessione della morte insieme alla piccola briciola di speranza. Il protagonista, è un prigioniero, che accusato di vari crimini, viene rinchiuso in una buia prigione di Toledo, subendo innumerevoli torture dall'Inquisizione. L'uomo in stato confusionale ispeziona la cella scoprendo in fine che al centro di essa è situato un pozzo, il detenuto comprende che lo scopo dei suoi torturatori era quello di farlo precipitare nella voragine.
Questo è l'inizio delle sue innumerevoli torture.
L’arrivo di cibo dà al prigioniero un po di speranza, esso, è però avvelenata e l' uomo cade in un sonno profondo. Al risveglio, si trova legato ad un asse, ora la molto illuminata, ciò gli permette di comprendere che la cella ha le mura di ferro e che è piena di topi. Guardandosi intorno nota un pendolo appeso che compie una oscillazione , comprende poi che in realtà si tratta di una falce che alla fine gli taglierà il cuore, la sua pena consiste quindi nell’attendere una morte inevitabile. dopo aver perso le speranze, l'uomo si ricorda di essere circondato dai topi affamati, cosi, avendo un braccio libero, prende il cibo dai carcerieri, e lo cosparge sulle corde che lo tengono legato. I topi affamati rosicchiano la corda e liberano l'uomo che ormai stremato, esso infine si accorge che le mura di ferro della cella si stanno riscaldando e restringendo, ustionato dal calore delle pareti, il prigioniero comprende che l’Inquisizione ha infine deciso di costringerlo a cadere nel pozzo al centro della cella. proprio mentre l'uomo ormai distrutto decide di porre fine alle sue sofferenze, una mano lo afferra, e qui capisce che i francesi sono entrati a Toledo e l’Inquisizione non ha più il controllo della città.

I. Calvino "Se una notte d'inverno un viaggiatore" di B. Persico IV A

“…di quel mondo invisibile che è la lettura, lo scorrere dello sguardo e del respiro, ma più ancora il percorso delle parole attraverso la persona, il loro fluire o arrestarsi, gli slanci, gli indugi, le pause, l’attenzione che si concentra o si disperde, i ritorni indietro, quel percorso che sembra uniforme e invece è sempre mutevole e accidentato.”

Un lettore qualsiasi si addentra nella lettura del nuovo libro di Italo Calvino “Se una notte d’inverno un viaggiatore”. Le prime pagine lo invitano a continuare, a farsi strada nella nebbia che offusca la vista nel primo luogo del romanzo, una stazione del treno. Compaiono le prime figure che sembra possano avere un qualche ruolo specifico all’interno di questa vicenda dai contorni fin troppo sfumati. Ad un certo punto l’anonimo lettore volta pagina ed ha come l’impressione di rileggere le stesse frasi di una decina di pagine prima… Per un errore di impaginazione non può portare avanti la sua lettura e così viene interrotto con altri nove romanzi. Per dieci volte il povero lettore è costretto a lasciare la storia sul più bello da sconvolgimenti estranei alla sua volontà: da un banale errore di impaginazione a un artista che smembra libri per realizzare le sue opere fino a un complotto tra fittizi stati nel Sudamerica. L’affannosa ricerca del lettore lo porterà a concludere finalmente almeno uno di questi libri? Riuscirà il lettore a conquistare la lettrice, sua compagna d’avventura? “Un romanzo sul piacere di leggere romanzi”, tanto intricato quanto finemente incastrato. Ogni parola viene calcolata, sottoposta ad un’autopsia, vagliata più che riversata spontaneamente sul foglio. Non è l’audacia né l’estro di Calvino ad aver reso questo libro degno di memoria nel cuore di chi lo ha letto, dopotutto l’espediente letterario del proteiforme deus ex machina che non permette al protagonista di “sapere come va a finire” è lo stesso topos letterario delle Mille e una notte. Un appassionato lettore non sottolinea interi periodi per il virtuosismo di Calvino nella sua capacità di scrivere racconti i cui stili sono completamente estranei al suo precedente repertorio, dopotutto ogni scrittore che si rispetti deve – o almeno  dovrebbe – essere in grado di cimentarsi in esercizi di stile. Questo libro è sui generis perché racconta di libri, di un lettore in cui possiamo (o dobbiamo?) immedesimarci tutti. Le pagine in cui Calvino si “lascia andare” sembrano essere solo quelle in cui per bocca del lettore, a cui dà sempre del tu, imprime sul foglio l’amore per i libri, per le parole, per chi si perde ancora tra le pagine. E’ sbagliato ridurre questo libro al “razionalismo verbale” di Calvino, che gioca, astrae, struttura l’intero romanzo su giochi di logica verbale e come in un manuale per scrittori alle prime armi spiega gli espedienti di cui si serve uno scrittore con tanti anni di esperienza alle spalle nel creare la suspense, ad esempio, omettendo alcuni dettagli o insistendo su alcune parole chiave. Le pagine di questo libro fluttuano tra il favolistico e la geometrica organizzazione, sono sia una matrioska variopinta di storie e, al contempo, un tangram, il rompicapo cinese con cui, pur scomponendo la perfezione del quadrato è possibile comporre qualunque forma si desideri. Il romanzo suggerisce un’idea di imperfezione: nulla può essere finito, perfetto, quello che si scrive non corrisponderà mai a tutto quello che è “può essere scritto”; quello che si scrive necessita di un’operazione di scarto, ed è così che nella presentazione Calvino propone un’ulteriore schematizzazione del romanzo, in cui ad ogni scelta corrisponde uno scarto che, a sua volta, si biforca e propone un ulteriore possibile scarto e un ulteriore possibile scelta. Ed è così che ciò che Calvino sceglie è la scrittura. La somma delle scelte è il libro che siamo in grado di leggere, ma che è solo una parte millesimale rispetto al tutto. In risposta ad alcune domande pubblicate sull’”Analfabeta” dal critico Angelo Guglielmi, Calvino cita il Platone che nel Sofista fa l’esempio del pescatore e della lenza per riferirsi a queste biforcazioni, al lavoro di scarto e all’impossibilità di raggiungere la completezza. In fin dei conti ciò che Calvino intende comunicare è che “Non si torna indietro. Per questo è difficile scegliere. Devi fare la scelta giusta. ma finché non scegli, tutto resta ancora possibile.”, citando “Mr. Nobody” (di Jaco Van Dormael, 2009), un film che in molti tratti somiglia alla storia del viaggiatore.

Anna Premoli "Un imprevisto chiamato amore" di Vanessa Iuliano classe III A

“Un imprevisto chiamato amore”, l’emozionante bestseller dell’autrice Anna Premoli, con le sue centocinquanta pagine, appassiona e catapulta i lettori in un mondo verosimile, dove l’amore fa abbandonare ogni progetto di vita, piazzandosi sul podio. Il romanzo contemporaneo, pubblicato dalla casa editrice Newton Compton, il 27 aprile 2017, appartiene alla corrente neorealistica. La scrittrice croata Anna Premoli, nata nel 1980, trasferitasi in Italia in tenera età, ha concluso gli studi universitari alla Bocconi. Dopo aver intrapreso una carriera professionale, presso la JP Morgan Chase e in seguito presso una banca d’affari, sostiene di aver impugnato penna nel periodo della gravidanza, usando la scrittura come antistress. Oltre ad “Un imprevisto chiamato amore”, sono stati da lei scritti: “Baci d’estate”, “Come inciampare nel principe azzurro”, “Tutti i difetti che amo di te”, “La nostra folle vacanza”, “Finché amore non ci separi”, “Un giorno perfetto per innamorarsi”, “L’amore non è mai una cosa semplice”, “L’importanza di chiamarti amore “, “E’ solo una storia d’amore”. La scrittura utilizzata nel libro preso in questione è scorrevole, chiara e lineare, nonostante la struttura ipotattica utilizzata dall’autrice. Il lessico è semplice e prevalgono dialoghi diretti che delineano meglio le caratteristiche dei personaggi e ad essi si alternano momenti di descrizione. I personaggi sono verosimili, Jordan, mercenaria assoluta, bellissima e poco fiduciosa nella sua intelligenza, è ostinata a sistemarsi con un medico benestante, ma a rovinarle i piani, compare sulla scena il dottor Rory Pittman, specializzando, inadatto a raggiungere lo scopo di questa, poiché tutt’altro che ricco. Il tanto atteso medico “perfetto”, si presenta nel bel mezzo dell’entusiasmante storia ma… ciò a cui Jordan tanto aspirava, ovvero soldi e stabilità, sembrano, non bastarle più. Personalmente ho apprezzato la suspense continua che ad ogni pagina ha stimolato in me la voglia di leggere il seguito della storia. La scrittrice è stata capace di lanciare un messaggio chiaro e forte: “L’amore è un imprevisto che non può essere calcolato e che ti sconvolge tutti i piani”.

G. R. R. Martin "LE CRONACHE DEL GHIACCIO E DEL FUOCO: LO SCONTRO DEI RE" di Pasquale Lazzaro classe IV A

“Verrà il giorno in cui sarai convinta di essere al sicuro, di essere felice, ma di colpo la tua gioia si trasformerà in cenere. E allora saprai che il debito sarà stato pagato”.

 

Le cronache del ghiaccio e del fuoco avevano incantato tutti quanti già nel primo libro “Il Trono di Spade”, ed ecco che puntualmente George R.R. Martin non si smentisce. Ormai tutti (o quasi), hanno assistito alla fama acquisita dalla serie tv tratta dai romanzi di George R. R. Martin; un vero successo, quello di una saga esplicita e diretta. Ancor di più nei libri, trapela tutta la crudeltà e la schiettezza dei personaggi; tutti aspettano solo un momento: salire sul trono di spade. Ambito e idolatrato, esso sarà quasi il vero artefice delle guerre e degli intrighi di Westeros. Il secondo libro, in particolare, racchiude i primi veri scontri sulla contesa del trono, occupato attualmente da re Joffrey Baratheon, giovane sadico e cattivo, molto testardo nel portare avanti le proprie idee. Figlio ottenuto dall’incesto tra i due fratelli: Jaime, il più grande e forte cavaliere dei sette regni, e Cersei Lannister, regina vedova di Robert Baratheon. I sette regni sono tormentati dunque, da una vera e propria guerra civile: Stark, Greyjoy, Baratheon, Bolton e Lannister, sono pronti a sacrificare tutti i loro soldati, pur di ricevere la sanguinosa corona. A nord è tutto nelle mani del piccolo Bran, mentre il fratello Robb, vuole farsi valere più che mai in guerra per far onore al padre defunto, Lord Eddard Stark. Stannis Baratheon si autoproclama re del Continente Occidentale mentre la legittima erede al trono, Daenerys Targaryen si prepara, insieme ai suoi tre cuccioli di drago, a far ritorno nella sua terra e reclamare la corona. Tutti però sottovalutano un grande nemico: quello che c’è a nord della barriera; tutti tranne i Guardiani della Notte, che decidono di condurre una forza in avanscoperta, insieme anche a Jon Snow (ormai arruolato da un pò e abbastanza addestrato). Cosa succederà allora? tutti parlano degli stranieri oltre alla barriera mentre ci si concentra sul governo e la diplomazia. Saranno vere le voci che corrono nel continente? Una cosa è sicura: “L’inverno sta arrivando”.

G. Nardone - A. Salvini "Il dialogo strategico" di Leognano Ceraudo classe IV A

La comunicazione strategica, è l’arte di comunicare efficacemente tra due o più individui. Ma come è possibile applicare la comunicazione strategica? Giorgio Nardone, terapeuta e Psicologo Italiano, ce lo spiega in un libro, in cui ci fa capire che esistono delle tecniche persuasorie che arrivano dalla filosofia orientale, ma anche dalla retorica dei sofisti.

Già Paul Watzlawick, mentore di Giorgio Nardone, negli anni settanta aveva messo a punto delle tecniche, che funzionavano per una comunicazione persuasoria. Nardone  riprende queste tecniche e le migliora sempre con un fine etico, quale una suggestione terapeutica, che serve a far percepire diversamente il problema al paziente. Alcune tecniche sono prese dalla sofistica, come l’illusione d’alternativa, ovvero chiedere al paziente se per lui è meglio fare una cosa noiosa e non piacevole, oppure fare una cosa noiosa ma più piacevole della prima. Ovviamente con questa tecnica, anche la più brutta e tediosa azione, che ogni persona non vorrebbe fare, diventa improvvisamente una scelta razionale e fattibile.

Il terapeuta Italiano ci avverte su le tecniche che lui ha messo appunto nel suo libro, perché essendo comunque tecniche persuasorie, vanno usate  solamente per scopi etici e moralmente sostenibili. Tuttavia, bisogna conoscere la comunicazione strategica nel mondo odierno, poiché come diceva lo stesso Watzlawick : Non si può non comunicare!

Ponte alle Grazie 2004

pp. 141

12,50 Euro

G. Flynn "L'amore bugiardo" di Anastasia Lazzaro, classe III B

Thriller assolutamente sconvolgente, L'amore bugiardo, di Gillian Flynn. Concentrato principalmente su due personaggi, marito e moglie, i pensieri dei quali caratterizzano ogni capitolo, alternandosi. Romanzo pieno di colpi di scena che incita il lettore a scoprire la 'vera' verità. Il libro si apre con i pensieri di una donna, Amy, intenta  ad inventare scuse su scuse sul suo innocente diario, per incastrare il marito incolpandolo della sua pseudomorte. Una storia legata alla realtà, anche per i pensieri della gente, subito pronta a difendere la donna ed accusare il marito, Nick, autoconvincendosi: " Era prevedibile, primo o poi l'avrebbe uccisa"; anche se la scrittura dell'autrice porta pian piano a far credere  al lettore stesso della colpevolezza del marito. L'amore bugiardo capovolge i ruoli tradizionali e dimostra come gli uomini non siano i soli a commettere dei gesti estremi (ed estremamente violenti) per amore. Smentisce la "debolezza femminile", dimostrando al lettore che la forza manipolatrice di una donna, può sconvolgere uno  Stato intero.

Rizzoli 2013

pp. 462

13,00 Euro

Stephen King "IT" di Melania Piro, classe II A

Casa editrice: Sperling & Kupfer

Anno di pubblicazione: 1986

Presentazione: indiretta

Narratore: esterno

Personaggi principali:  It e il gruppo di amici: "I Perdenti"

 

La vicenda si svolge nella città di Darry,nello stato del Maine, dove un essere mostruoso conosciuto come "It" ricomincia a seminare il panico dopo una lunga assenza. It, nei panni del "clown Pennywise", uccide brutalmente decine di bambini avvicinandoli con l'inganno nei posti più imprevedibili.

Ben, Eddie, Bill, Richie, Beverly, Stan e Mike sono sette bambini sopravvissuti a It che si uniscono formando il gruppo dei "Perdenti". Questi ultimi cercheranno di intralciare i piani di It fino a quando diventeranno adulti,  riuscendo ad arrivare, dopo lunghissimi e difficili ostacoli, ad un epilogo.

 

Sono un'amante del genere horror e soprattutto di Stephen King. Ho letto "It" tutto d'un fiato, nonostante il cospicuo numero di pagine (pp. 1216), perché è avvincente e racconta nei minimi dettagli ogni cosa. Ciò che mi ha colpito di più di questo romanzo è la storia dei sette amici che formano la banda dei Perdenti, le loro fasi di crescita e la loro unione intrecciata perfettamente con le vicende terrificanti di It e il tutto è narrato in una maniera esemplare.

Credo che questo libro vada letto da tutti almeno una volta nella vita, anche da chi non ama il genere horror, perché, personalmente, ritengo che da questo romanzo si capisca la bravura enorme di Stephen King.

Giorgio Nardone "Problem solving strategico" di Leognano Ceraudo classe IV A

Non c’è giorno, in cui ognuno di noi, non cerca di risolvere un problema. Anche se non vi prestiamo molta attenzione, siamo o dovremmo essere degli esperti Problem Solver. Per nostra sfortuna non è sempre così, perché alcuni problemi, ci tengono su di essi anche per mesi o per anni. A venirci in aiuto, vi è Giorgio Nardone, esperto Psicoterapeuta dell’ “Approccio Strategico”, il quale studia da anni le tentate soluzioni fallimentari, che ogni persona mette in atto per risolvere un qualche problema. Il Terapeuta ci indica ben sette passi da seguire per risolvere un problema, in poco tempo ed efficacemente. Il primo passo, è definire il problema nei termini più concreti e descrittivi possibili. L’accento va posto su come il problema funziona in questo momento e non ricercare il perché o la causa. Il secondo passo, è concordare l’obiettivo. Secondo Nardone, avere un’obiettivo  di arrivo in testa, dà più sicurezza e anche una linea guida più concreta per il cambiamento che si deve ottenere. Il terzo passo, è individuare le tentate soluzioni fallimentari che si mettono in atto per risolvere il problema, perché sempre secondo il terapeuta, sono esse che lo alimentano. Il quarto passo, è pensare a come peggiorare il problema. Pensando a come renderlo peggiore, si ci può orientare verso le soluzioni opposte di quelle trovate. Il quinto passo, è una strategia molto funzionale, il quale consiste di immaginarsi, nel momento in cui il problema è già risolto, per capire come vorremmo che sia la situazione a problema sistemato. Così facendo possiamo capire, quale sono gli aspetti realizzabili concretamente. Il sesto passo, è concentrarsi sul più piccolo passo che possiamo fare, per avvicinarci alla soluzione del problema. Dopo aver fatto il primo piccolo passo, faremo il secondo piccolo passo e così via. Il settimo ed ultimo passo, è quello di aggiustare il tiro durante la risoluzione del problema, ovvero cercare di migliorare i nostri nuovi approcci usati per risolverlo, durante il cammino verso il cambiamento. Insomma quando abbiamo un problema, fermiamoci un attimo e ragioniamoci su, perché come diceva Napoleone : Avendo molta fretta, vado molto piano.

Ponte alle Grazie 2009

11,00 Euro

Charles Bukowski "Musica per organi caldi" di Benedetta Persico, classe IV A

Musica per organi caldi” di Charles Bukowski (1983)

“Quello che voglio sapere è: esiste sì o no una via d’uscita? Un modo qualsiasi per farla franca?”

“Bello, non c’è nessuna via d’uscita. Gli strizzacervelli consigliano di darsi agli scacchi, o alla collezione di francobolli, o al biliardo. Qualsiasi cosa pur di non pensare alle grandi teorie esistenziali.”

“Gli scacchi sono noiosi.”

Trentasei ritagli di vitaraccontati senza peli sulla lingua, come solo Charles Bukowski sa fare. Irriverente, dissacrante, sovversivo. Musica per organi caldi è il Bukowski che, in un modo o nell’altro, conosciamo tutti. Basterà assaporare qualche riga per accorgersi dell’amarezza delle parole dello scrittore, disilluso e cinico come non mai. Lo scrittore di Andernach non si contiene - come al suo solito - vomita, sfoga, esterna brutalmente vicende ordinarie per quelli come lui. “Nella mia categoria, tutta gente poco seria, di cui non ci si può fidare” cantava Edoardo Bennato in “Sono solo canzonette”, ed è proprio così: i protagonisti di questo libro non solo sono amici di Bukowski, ma, a volte, sono lo stesso Bukowski, come lo scrittore Henry Chinaski, suo alter ego, protagonista di alcuni dei racconti della raccolta. Tutta gente poco seria, sommersa dai guai, da cui il titolo originale della raccolta: “Hot Water Music”, in inglese, infatti, deriva dall’espressione idiomatica “to be in hot water” che significa essere nei guai fino al collo esattamente come gli uomini e le donne che si muovono - o meglio barcollano ubriachi – tra le pagine di questo libro.Ambientato in una California torrida, descritta tra autostrade desolate e un contorno di ocra sudicio, ci fa respirare un’aria satura di fumo e afa. Sono racconti in cui il caldo si fa sentire: ci soffoca tutto questo cinismo bollente. Misantropia, alcolismo e vedove nere si mescolano nel calderone di casi umani che con impressionante finezza Bukowski ci serve in tavola. Una tavola non molto invitante, ad essere sinceri: ci susciterà disgusto piuttosto che appetito un’umanità così rozzamente impiattata. Il sogno americano si è volatilizzato per far spazio ad una generazione di falliti consapevoli, alcolizzati, tossicodipendenti, ninfomani e assetati di gloria. Niente di idilliaco o invitante: “Musica per organi caldi” è un disgustoso ritratto dei tempi presenti, piuttosto. Donne oggetto che i protagonisti si scambiano come paia di calzini, violenza gratuita, denti rotti o più spesso consumati dall’alcol. Dialoghi di un realismo doloroso e sconfortante. Bukowski non consola il lettore che si sarebbe aspettato la zolletta di zucchero per mandar giù l’amara medicina. È come se dicesse “il mondo va così e non sarò di certo io a convincerti del contrario!”. Uomini e donne disincantati, senza un scopo nella vita che non sia quello di soddisfare le proprie dipendenze e perversioni. Una trafila di casi umani che fissano un punto del muro, stesi sul letto a smaltire una sbornia, alla ricerca della risposta alla domanda “come ho fatto a ridurmi così?”. Ciononostante “la vita è dolce se glielo concedi” anche per un uomo che scrive “la mia unica ambizione è quella di non essere nessuno; mi sembra la soluzione più sensata”Che ne rimaniate disgustati, traumatizzati o finemente ammaliati non importa: lo scopo è solo quello di far crollare tutto quello che ritenete di più solido e inaffondabile. E Bukowski ci riesce sempre.


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Noemi Ghetti "La cartolina di Gramsci"

Maria Renzo classe V B

Una cartolina, una piccola ed enigmatica cartolina postale che Antonio Gramsci firmò con Julca Schucht e spedì alla sorella di lei, Eugenia, il 16 ottobre del 1922 da Ivanovo-Voznesensk, a circa duecentocinquanta chilometri da Mosca.

Questo misterioso messaggio inedito, apparentemente minore, ci è pervenuto  grazie al lavoro di ricerca di Noemi Ghetti.

Si tratta di un saggio nel quale si intrecciano più livelli di ricerca, da quello storico-politico a quello  psicologico e sentimentale.

Il protagonista è uno strano e inconsueto Antonio Gramsci,  non il severo e integerrimo intellettuale e politico, che la tradizione ci ha sempre mostrato, ma un uomo con tutti i suoi dubbi, al centro di un triangolo amoroso. Conteso da due donne bellissime,

I fatti si svolgono a  Mosca,  tra il 2 giugno 1922 e il novembre dell’anno successivo.

È il periodo in cui entra in contatto fisico e intellettivo col susseguirsi di eventi europei che segneranno la storia mondiale del XX secolo.

Fa parte della delegazione del Partito comunista d’Italia,  guidato da Amedeo Bordiga, giunta nella capitale sovietica per partecipare ai lavori del Comitato Esecutivo allargato all’Internazionale Comunista.

Ma il filo rosso che lega tutti i livelli di lettura del saggio è sostanzialmente uno:

Gramsci ha già intravisto  i limiti dell’impronta che  Lenin ha dato alla rivoluzione bolscevica.

Fin da subito  ha capito che la presunta ortodossia del marxismo-leninismo causerà una frattura insanabile tra popolo e partito.

Anche l’intenzione di tradurre e pubblicare in Italia “La stella rossa”  un romanzo che descrive la società comunista su Marte, di Alexander  Bogdanov, grande avversario di Lenin, lo pone immediatamente tra i “controrivoluzionari”  si badi però che essere controrivoluzionari nel 1922 non voleva più dire essere filo zaristi, ma non essere in linea con il pensiero di Lenin.

Anche il coinvolgimento di una donna nella traduzione dell’opera è in linea con il pensiero di Gramsci: solo se le donne e il popolo saranno liberi e in grado di contribuire con la propria cultura si potrà costruire una società giusta, prima ancora che comunista.

Queste posizioni critiche saranno pagate care da Gramsci.

D’allora in poi il suo nemico non sarà solo il fascismo, che lo imprigionerà e ne causerà la morte, ma anche il Partito comunista che piano piano lo isolerà sempre di più.

Il messaggio di Gramsci è chiaro: non ci può essere nessun progresso, nessun riscatto delle classi popolari se queste sono tagliate fuori dai processi, se il popolo non è considerato depositario di una sua propria cultura e di valori che non dipendono rigidamente dalle condizioni economiche.

 L’economia è importante, ma la cultura  e la coscienza lo sono di più.

Alla luce di tutto ciò il pensiero di Gramsci è attualissimo perché oggi registriamo una crisi che, prima di essere economica, è di partecipazione. La vita attiva dei cittadini è  garanzia di sviluppo culturale e sociale.

Per questo Gramsci dichiara di odiare gli indifferenti, quelli che non parteggiano e non si schierano, ma piuttosto scoraggiano chi ha nel cuore la forza e il coraggio di lottare per cambiare, in meglio, il mondo.

 

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Mauro Bonazzi "Con gli occhi dei Greci" di Benedetta Persico classe III A

16 articoli apparsi su «la Lettura», il «Corriere della Sera» e «il Mulino», 134 pagine per orientarci nei meandri del pensiero occidentale. Risaliamo alle cause remote: perché pensiamo come pensiamo? Perché agiamo secondo questi e non altri schemi comportamentali? Perché ci domandiamo perché? E, soprattutto, dove cercare le risposte ai nostri logoranti dubbi sul mondo, sulla morte, sull’amore? La risposta a tutto è da ricercarsi alle radici della nostra società occidentale: il metal detector ci dirà di fermarci a cercare nel punto esatto in cui comincia la nostra storia, nella Rocca di Micene, dimora degli Atridi. Lì, nel megaron dell’antica civiltà micenea cominciava la storia della nostra parte di mondo. Nasceva in quel contesto la necessità di raccontarsi delle storie con gli aedi che cantavano di dei antropomorfi ed eroi valorosi. Qualche secolo più tardi nelle colonie dell’Asia Minore qualcun altro sentì la necessità di spiegarsi il mondo, non più attraverso il mito, ma attraverso l’osservazione e il ragionamento: nasceva il logos, nasceva la filosofia. Noi siamo logos, siamo intuizione e deduzione, ragione pura, nous, intelletto attuale. La nostra tendenza al perfezionamento, la nostalgia, i tradimenti, l’amore platonico sono parte di noi. Il motivo della nostra inarrestabile sete di certezze sono gli antichi Greci. Nell’allievo che supera il maestro ci sarà sempre un po’ del triangolo Socrate-Platone-Aristotele, nel nostro anelito di vita ci sarà sempre il tetrafarmaco di Epicuro. I Greci ci avevano già pensato, i Greci lo avevano vissuto prima di noi. Tucidide raccontò della spedizione degli Ateniesi a Melo e non dimenticò di raccontare, da storico qual era, dei Meli, ribelli alla dominazione ateniese, un po’ come la minoranza curda che ogni giorno lotta per ottenere l’indipendenza dall’oppressione turca. Tra i Cugini di campagna con “Anima mia” e Platone non è che ci sia poi questa grande differenza: voler ricercare il quid che ci renda altro rispetto alla sola corporeità è un pensiero che ci accompagna da sempre. La ragion di stato caratterizza la tragedia greca, soprattutto nel caso dell’Antigone di Sofocle, e così la figura di Creonte, sotto questo punto di vista, non è che un antico Barack Obama, desideroso di creare un mondo in cui gli uomini possano vivere insieme, ma costretto ad accettare i compromessi della ragion di stato. Con un linguaggio chiaro, non eccessivamente specifico e, soprattutto, senza allungare troppo il brodo, i 16 articoli attualizzano l’eredità degli antichi Greci, presentandocela come chiave d’accesso alla comprensione di un mondo, quello di oggi, complesso e troppo spesso difficile da decifrare. Ecco che il pensiero dei nostri progenitori ci perseguita nei nostri problemi quotidiani, dall’amore, alla morte, dalla felicità alla nostalgia. Ecco che il loro pensiero ci accompagna nel flusso degli eventi che spesso ci travolge, spesso di coinvolge, spesso ci stravolge. “La vita fugge, et non s'arresta una hora”, scriveva Petrarca, la vita non ci dà scampo e ci mettiamo troppo a capire il flusso degli eventi, che è un fiume in piena, riprendendo un paragone molto caro ad Eraclito. Come evitare di lasciarsi trasportare dalla corrente degli eventi? Guardando il mondo con gli occhi dei Greci.

 

Carocci editore 2016

Euro 14,00

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F. Gungui "Inferno" di Ines Ferrazzo, classe II B

Inferno è il primo volume della saga fantasy “Canti delle terre divise” dello scrittore italiano Francesco Gungui. La storia è basata sullo schema della Divina commedia, in cui l’inferno dantesco è una sorta di prigione in cui vengono rinchiusi criminali e oppositori dell’oligarchia. Alec, il protagonista del romanzo, abita con la madre e la sorella minore in un quartiere di Europa, la città principale in cui risiede il ceto basso  e medio-basso. Lavora in un Casinò, dove ha incontrato Maureen, la sua più cara amica che, divenuta  orfana da bambina, vede in Alec l’unica persona fidata. Il paradiso è il luogo in cui risiedono gli oligarchi della società e le persone ricche. Lì tutto è perfetto e, al contrario di Europa dove le scene dei dannati risplendono sulle pareti di ogni cattedrale, la popolazione è ignara di quel  che realmente succede all’inferno. Il paradiso è il posto ambito da tutti e la madre di Alec riesce ad ottenere il trasferimento per lei e la sua famiglia. Qui il ragazzo è giardiniere nella villa di uno degli oligarchi e fa la conoscenza di Maj, sua coetanea residente della villa. La vita di lei è totalmente diversa dalla sua, sono quasi gli opposti. Lei  vive una vita serena e agiata, fatta da privilegi e lussi mentre quella di Alec è fatta per lo più di sacrifici. Maj è ignara di quel che succede al di fuori del paradiso ma, quando vede il suo coetaneo inizia a porsi domande e a dubitare su quello che fino ad ora ha ritenuto giusto. Cerca la sua attenzione e lo tempesta di domande: su di lui, sulla sua città e sull’Inferno. Gli chiede com’è fatto il mondo a lei sconosciuto e quando lui glielo descrive lei inizia a vedere il paradiso come un  posto falso dove non può trovare felicità. I due si innamorano e, quando lui deve far ritorno ad Europa lei vuole seguirlo, anche se si tratta di un azione illegale. Così si danno appuntamento per fuggire insieme ma i piani non vanno come programmato. Lei non si presenta e lui, amareggiato e deluso, fa ritorno ad Europa. Si pente di non aver dato ascolto a chi gli diceva di lasciar perdere e cerca di immaginare il motivo per il quale lei abbia deciso di  abbandonarlo. Ma tutto cambia quando sulle schermate della cattedrale, tra i tanti volti ignoti scorge quello della sua amata. Allora decide di compiere un’azione impossibile, scendere all’inferno e salvare Maj, scappando da chi trama la loro morte.

Il libro è raccontato in terza persona, il linguaggio scorrevole e gli intrecci delle vite dei vari personaggi rendono la trama brillante. In ogni pagina si evince il grande talento dello scrittore che è riuscito egregiamente  a spostare in un futuro distopico l’opera di Dante che è radicata al nostro passato da secoli.

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Lauren Kate "Fallen"

La recensione di Ines Ferrazzo, Classe II B

“Una strana sensazione si faceva strada dentro di lei. Una sensazione che si era annidata nel corso di tutte le vite passate, di tutto l’amore per Daniel che troppe volte nei secoli era stato costretto a finire. Le fece venire voglia di combattere al suo fianco. Combattere per rimanere viva abbastanza a lungo da vivere la sua vita con lui. Combattere per l’unica cosa davvero buona, nobile, potente; l’unica per cui valeva la pena rischiare tutto. L’amore.”

Fallen è il primo libro della saga paranormal romance dell’autrice americana Lauren Kate. Il libro, pubblicato nel 2010, racconta la storia della diciasettenne  Lucinda Prince, rinchiusa in un riformatorio dai genitori in seguito a spiacevoli incidenti accadutegli durante l’estate. Lei non ricorda molto dell’accaduto, avvenuto troppo in fretta e inaspettatamente ed essendo l’unica superstite è ritenuta quindi un possibile colpevole dalla polizia. Nella sua nuova scuola, la Sword and Cross, trova un ambiente totalmente diverso da quello che ha lasciato in Georgia, la scuola è malandata, trascurata e gli alunni, aventi tutti un passato alquanto burrascoso, assumono comportamenti difformi da quelli  dei suoi vecchi compagni.  Fa subito amicizia con Arianne e  Penn, sue complici nella sopravvivenza in quell’ambiente. La scuola è molto rigida, ci sono telecamere ovunque che fanno sentire Luce costantemente oppressa ed osservata e ha regole che fan si che gli alunni siano estraniati dal resto del mondo. Qui Luce deve fare i conti con le ombre, che la inseguono sin da bambina e che sembrano intensificarsi in quel posto agghiacciante e con l’incredibile attrazione che prova verso Daniel Grigori, con l’apparentemente irrazionale sensazione di averlo già conosciuto. Lucinda è ignara della maledizione che incombe sui due, un angelo caduto innamorato di un’umana, un amore talmente forte da cambiare le regole del cielo, dando vita a continue guerre; ma quando i due amanti si baciano per la prima volta lei muore e lui deve aspettare 17 anni prima che il ciclo si ripeta. Ciclo che, questa volta, pare aver subito qualche piccola variazione.

Consiglio vivamente il libro anche se a tratti può sembrare davvero banale. I temi trattati possono sembrare molto  simili a quelli trattati da Stephenie Meyer nella più celebre saga “Twilight” , il che ha riscosso un po’ di polemiche e recensioni negative da parte degli altri lettori. La lettura è fluida, il lessico semplice, la storia piena di suspense fa si che il lettore non possa staccarsi dalla lettura del romanzo.  Libro assolutamente da leggere soprattutto se, come me, si è amanti del  fantasy/mistico.

Rizzoli 2016

16,00 Euro 

La recensione di Simona Lettieri, classe II B

“Fallen” è il primo romanzo di una saga fantasy-romantica composta da 5 libri scritti da Lauren Kate a partire dal 2009. La protagonista di questo romanzo è Lucinda Price, soprannominata Luce, una ragazza di 17 anni che fin da piccola è perseguitata da delle creature informi da lei chiamate semplicemente “ombre”. A causa di un incidente in cui perde la vita un suo caro amico, Luce, considerata colpevole di questa tragedia, viene mandata in un istituto correzionale, la “Sword & Cross”.

La vita nella nuova scuola non è facile: il senso di colpa e le apparizioni delle ombre sempre più frequenti non le permettono di stare tranquilla. Tutto cambia quando Luce intravede per la prima volta Daniel: un ragazzo misterioso dai capelli biondi e dagli occhi dalle sfumature violacee, il quale si dimostra fin da subito desideroso di mantenere le distanze da lei. Nel tentativo di scoprire qualcosa sul passato del giovane, Luce verrà presto a conoscenza del vero motivo del suo comportamento: Daniel è uno degli angeli caduti, coloro che non hanno mai scelto tra il bene e il male e sono condannati a vivere sulla terra e a confondersi con i mortali. Egli, però, è anche vittima di un’altra maledizione: avendo preferito l’amore per una donna mortale nel momento della scelta tra Dio e Lucifero, egli è condannato ad innamorarsi sempre della stessa donna con la quale si rincontrano ogni 17 anni, ma basta solo un bacio per porre fine alla vita della ragazza.

Tra i tanti che tentano di tenerli lontani vi è Cam, un ragazzo dal fascino sconvolgente custode anche lui di un importante segreto, il quale non si farà sfuggire nessun occasione per impedire che Luce si avvicini a Daniel.

Essendo un’appassionata del genere fantasy, ho adorato questo romanzo: il linguaggio utilizzato è abbastanza semplice e scorrevole, la trama è molto appassionante e ricca di descrizioni che permettono al lettore di immaginare al meglio ogni scena della romantica storia di Lucinda e Daniel. Gli argomenti principali della saga sono il trionfo del bene sul male, l’amicizia, ma soprattutto il vero amore, quello che resiste nei secoli e che rappresenta l’unica cosa veramente importante per cui vale la pena restare in vita e continuare a lottare.

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Anna Carey "Dark Games" di Ines Ferrazzo, classe II B

Dark Games è un romanzo distopico della scrittrice americana  Anna Carey.

 

La storia inizia in medias res, non sappiamo nulla della protagonista, proprio come lei non sa nulla di se. Nessun nome, nessuna provenienza, nessun passato. Bisogna scoprire la sua storia insieme a lei, un passo alla volta. La ragazza si sveglia sulle rotaie di un treno che per poco non la investe. Ma il conducente frena in tempo e la ragazza è salva, sola, con se solo uno zaino. I presenti e la polizia cercano di aiutarla ma lei scappa. Non sa perché lo fa ma sente di dover fuggire. Nello zaino è presente un block notes con un numero di telefono, una mappa con una stella nera e svariati oggetti tra cui una mazzetta di mille dollari. Decide quindi i dover trovare un telefono, ma prima di tutto di darsi una ripulita. Entra in un supermercato e nell’entrare in bagno urta contro un ragazzo, Ben ,che diventerà il suo punto d’appoggio nel resto del libro.  Chiama il numero presente sul block notes, e seguendo le istruzioni dell’uomo, si ritrova incastrata in una rapina. Capisce allora di non potersi fidar di nessuno. I suoi presentimenti aumentano d’intensità quando un uomo in un vestito nero la pedina e una donna cerca di ucciderla. L’unica persona di cui lei si fidi è Ben, che la invita a stare a casa sua e così fa. Fa amicizia con una vicina e prova a fare delle ricerche su se stessa, qualche annuncio di smarrimento o magari è ricercata dalla polizia, avrà commesso qualche crimine, forse è una ladra, il che spiegherebbe la sua agilità, ma non trova nulla. Si sente sicura, anche se ha perso se stessa. Tra lei e Ben sembra essere nato qualcosa quando l’uomo che la pedinava ritorna sulle sue tracce. Allora lei si allontana da lui per non esporlo a pericoli e scopre di far parte di un gioco. Un gioco malato che la vede come protagonista. E’ l’obiettivo da uccidere, la più abile tra i suoi compagi e quindi anche la più bramata. Incomincia ad avere flash back, e pian piano collega le cose creando una versione più o meno veritiera del suo passato. Chiede aiuto alla polizia ma non viene creduta, nessuno potrebbe credere alla sua storia, solo Ben pare credere a quella follia.

Il libro fa parte di una duologia della quale solo il primo libro è stato finora pubblicato in Italia. La storia è raccontata in prima persona, ed è stata la mia prima esperienza con questo tipo di narrazione. Il libro è raccontato dalla protagonista, il suo è l’unico punto di vista presente nel racconto. I luoghi e i personaggi sono ben definiti. Il finale mi ha sconvolto, in quanto completamente inaspettato.

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Roberto Vecchioni "Il mercante di luce" di Benedetta Persico - classe III A

Progeria, dal greco antico πρό, "prima" e γέρων, "anziano", malattia rara che causa l’invecchiamento precoce dell’individuo, senza però alterarne l’attività mentale. Marco ha la mente di un diciassettenne, con tutti suoi dubbi, i desideri, i tormenti e al contempo gli acciacchi di un novantenne. La sua breve vita sta volgendo al termine. Il rimpianto, la nostalgia e il terrore di un adolescente cosciente del fatto che presto spegneranno la luce senza riaccenderla mai più. I turbamenti interiori di un uomo, il professor Stefano Quondam, che evita con tutte le forze di affrontare la realtà che coinvolge e travolge la fragile vita del figlio. Un matrimonio ormai in frantumi, l’unica luce della sua vita in dirittura d’arrivo, la cultura come unico appiglio. La cultura greca che ha forgiato le sue soddisfazioni, che ha dato colore alla sua vita, che gli aveva assicurato una cattedra all’università come docente di successo. Alla morte del suo guru, avrebbe sicuramente ricevuto “in eredità” la Magna Cathedra di letteratura greca. Crolla tutto però. Crollano le fondamenta di quel tempio dedicato alla letteratura che era l’unico edificio rimasto in piedi nella testa del signor Quondam. Senza luce e senza tempio, dovrà guardare la realtà in faccia. Ma chi è Stefano Quondam se non un moderno Aiace Telamonio? Non siamo così distanti dalla civiltà che raccontano i poemi omerici. Non siamo noi se non in relazione agli altri. Necessitiamo dell’approvazione altrui e, in mancanza di apprezzamento, siamo nulla, il vuoto assoluto. Dopo tutto possiamo dire di vivere i tempi del rinnovato aidòs tramite i social network: il riconoscimento pubblico del nostro valore, dell’aretè dei greci, che corrisponderebbe pressappoco ai like, è l’unico riconoscimento considerabile come tale. Non importa cosa si è nella realtà, l’importante è il modo di porsi, di dimostrare il proprio valore, ciò che ci renda uomini degni di rispetto. Aiace vorrebbe sfogare la sua rabbia contro chi non gli ha reso quello che gli spettava di diritto, le armi di Achille; Stefano Quondam non potrà avere una reazione molto lontana da quella dell’uomo del ciclo troiano. Le gioie e i tormenti sono sempre gli stessi, come sempre lo stesso è l’uomo. «L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!» scriveva tale Friedrich Wilhelm Nietzsche, riprendendo la concezione stoica della ciclicità del tempo. In parole povere, siamo sempre lo stesso uomo. L’uomo eterno che è sempre parte del flusso dominato dal caso che governa le stesse divinità per i greci. La consapevolezza dell’assenza di un senso, l’accettare la realtà per il suo disordine, piuttosto che struggersi nel cercare di un senso da attribuire agli avvenimenti. È  davvero così? Quondam si arrenderà alla morte del figlio? Si suiciderà per la vergogna come ha fatto Aiace? Oppure darà un senso ad una vita, sì, dominata dal caso come nelle tragedie, ma degna di essere vissuta? Aiace è l’eroe dei disadattati, fuori luogo e fuori tempo, il matto che preferisce morire piuttosto che darla vinta al mondo. Una figura quasi romantica, ma assolutamente tragica, inetta a cambiare il corso degli eventi, un po’ troppo rassegnata al proprio destino. Stefano Quondam, il nostro moderno Aiace, invece, dopo aver fatto a pugni con se stesso, smette di avere paura di vivere. Non si piega al mondo, ma capisce di appartenere a qualcosa, di aver visto la bellezza e di aver compreso che il bello è proprio vivere, perché, sì, Quondam e Aiace non appartengono al mondo dei “manager tecnicisti” come Ulisse, ma “appartengono a un altro tempo scritto sopra le loro dita, con i segni di chitarra che gli rigano la vita, loro l'hanno vista la bellezza e ce l'hanno stampata in cuore, imbranata giovinezza a ogni nuovo antico amore.” (Io non appartengo, Roberto Vecchioni”)

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Carlo Lucarelli "Intrigo italiano" di Ines Ferrazzo, classe II B

“Intrigo italiano” è l’ultimo romanzo dell’autore italiano Carlo Lucarelli. Un giallo storico - poliziesco ambientato a Bologna a cavallo tra l’inverno del 1953 e l’estate del 1954, in cui vediamo il ritorno in scena del commissario De Luca accompagnato dall’agente Giannino.  

Questa volta il commissario si trova alle prese con l’omicidio della vedova Mantovani Stefania in Cresca, trentunenne trovata morta nell’appartamento del defunto marito a Bologna. La scena del crimine presenta molti indizi che non sfuggono all’occhio attento di De Luca che, insieme al suo compagno d’indagine, trova le piste che conducono l’omicidio ai possibili sospettati. De Luca nota tutto: la traccia di sangue lasciata sull’angolo di una lettera gettata via, le delicate impronte femminili lasciate col sangue sul pavimento, l’incidente fatale del marito della donna avvenuto qualche mese prima; piccoli pezzi che nelle sue mani esperte riescono a condurci ad una soluzione. Ma il "segugio" De Luca, sopraffatto dai suoi sentimenti, è capace anche di ignorare dettagli, fingere di non riuscire a collegare, per proteggere chi non può proteggersi da solo...

Ho letto questo libro in occasione della partecipazione della mia classe ad una puntata della trasmissione “Quante Storie” condotta da Corrado Augias su Rai 3, in cui era ospite proprio Carlo Lucarelli. Si tratta di un giallo avvincente, che rivela una straordinaria attenzione da parte dell'autore per la ricostruzione storica dello spazio e il tempo in cui la vicenda è ambientata. Quindi troviamo ritagli di giornali del tempo, la vanitosa attenzione per la moda (non solo quella femminile), la rievocazione di profumi e soprattutto una grande sensibilità per la musica degli anni '50. E' proprio la musica a fare da colonna sonora a tutto il romanzo in una trama descritta con tanta dovizia di particolari che sembra quasi di riuscire a vedere e ascoltare i personaggi muoversi nei loro ruoli.

Il libro è di facile lettura, scorrevole, e il perfetto intreccio della storia fa sì che questa risulti sorprendentemente coinvolgente agli occhi del lettore. La punteggiatura è assai curata nel romanzo: ogni virgola, ogni punto gli dona un area misteriosa e intrigante, modellandolo  e perfezionandolo.

Consiglio vivamente questa lettura a tutti poiché Lucarelli con la sua grande abilità stilistica riesce a far appassionare al giallo anche  chi è estraneo al genere.

Einaudi 2017

17,00 euro

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Veronica Roth "Insurgent" di Francesco Lombardo, classe IV B.

"Una scelta può cambiare il destino di una persona... o annientarlo del tutto".

Secondo capitolo della saga di Veronica Roth "Divergent" continua la storia di Tris, che vive in un futuro post

apocalittico, in una società divisa in 5 fazioni: candidi, eruditi, abneganti, pacifici e intrepidi; ognuna basata sui

rispettivi valori: giustizia, saggezza, altruismo, amicizia e coraggio.

Il sistema che lei ha sempre conosciuto sta andando in crisi, ognuno dovrebbe appartenere ad una sola fazione, ma stanno nascendo persone predisposte a molte, vengono chiamati Divergenti.

Dopo l' iniziazione degli intrepidi, la protagonista non può godersi la vittoria poiché deve affrontare delle battaglie più grandi di lei, fare scelte importanti per una sedicenne e combattere con la sua coscienza stessa.

Incarnando tutto ciò che ha causato la rottura del perfetta convivenza sociale, in quanto divergente, Tris dovrà scoprire un segreto celato fino ad oggi dai capo-fazione soltanto per avere delle risposte . Tutto ció  cercando di vivere un po della sua adolescenza distrutta, mantenendo viva  la storia d' amore con Tobias.

Come secondo libro é molto pesante rispetto al primo. É lento da leggere. Ma la trilogia in se ha una trama originale che compensa questa carenza, con i colpi di scena e l' azione.

Storia mai vista prima, lo consiglio a tutti coloro che vogliono qualcosa di nuovo e originale.

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D. Brown "Inferno" di Giusy Rizza, classe IV B.

“I luoghi più caldi dell’inferno sono riservati a coloro che 
in tempi di grande crisi morale si mantengono neutrali.”
"Il mio dono è il futuro.
Il mio dono è la salvezza.
Il mio dono è l’inferno."
Inferno è il romanzo più esaltante di Dan Brown, pubblicato il 14 maggio 2013. L'autore volle fare un tuffo nel passato e riprende l'Inferno di Dante, per salvare ancora una volta il futuro degli uomini. Il protagonista è l'attraente Robert Langdon, professore di simbologia ad Havard, nonchè amante della divina commedia conosce tutto di Dante Alighieri, la sua passione per l'arte lo porterà a muoversi tra le strade di Firenze, riferendo ogni segreto, ogni simbolo, occultati nelle chiese e nei monumenti della città, che rivelano la storia dell'avvenuto. L'inizio non è uno dei più semplici per il protagonista, egli si ritrova in un letto d'ospedale con una grave amnesia; qui troviamo la giovane infermiera,  Sienna Brooks, che lo aiuterà negli intralci che Longdon riscontrerà nell'azzardata città. Vi è nel romanzo anche un leggero tocco di fantascienza: il nemico da sconfiggere è uno scienziato che creò un veleno mortale in grado di limitare, di un numero ben preciso, la popolazione mondiale, la Peste Nera. In tutta la narrazione, Dan Brown dimostra ancora una volta di essere il maestro di un ritmo incalzante in una selva di simboli, luoghi enigmatici, con un unico scopo: fare una netta distinzione tra il bene e il male, salvare il mondo dai peccati capitali che nell'inferno dantesco venivano considerati tali e di conseguenza puniti,  inoltre con “la speranza che questo libro ispiri il pubblico a scoprire e riscoprire Dante”. Tutte le vicende che si svolgono durante il lungo e travagliato tragitto compiuto dall'arguto professore, da Firenze a Venezia fino ad arrivare a Istanbul, non fa appello a niente di sacro, di soprannaturale o di divino, ma con l'esclusivo fine di far riflettere il lettore su un austero dilemma che riguarda l'intera popolazione mondiale: la sovrappopolazione
Mondadori
2013
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Bruno Palermo "Al posto sbagliato" di Benedetta Persico classe III A.

Bruno Palermo presenta il suo libro “Al posto sbagliato” (storie di bambini vittime di mafia) al Liceo Classico D. Borrelli di Santa Severina

“Un moto di resistenza civile che nasce dal sangue innocente delle vittime e dal dolore dei loro familiari.”

Bruno Palermo, giornalista professionista, scrittore e volontario di Libera, racconta agli studenti  del Liceo Classico Statale D. Borrelli di Santa Severina uno degli aspetti più controversi del “codice d’onore” mafioso. Non esiste nessuna onorabilità nella mentalità mafiosa, al contrario di quello che vorrebbero farci credere. Donne e bambini vengono brutalmente assassinati allo stesso modo degli uomini, senza alcuna distinzione.  Dal 1896 fino al 2014 sono 108 i giovanissimi che hanno perso la vita. Morti nella quotidianità, come la piccola Seby di soli due anni e mezzo, che in braccio alla madre per strada, viene colpita al collo da un proiettile mentre l’assassino cerca di centrare il suo reale bersaglio; morti di mafia, come Dodò, che avrebbe compiuto diciotto anni qualche giorno fa, che ha trovato la morte durante una partita di calcetto con gli amici. Aveva solo dieci anni. Bambini i cui grandi sogni vengono stroncati da un male che non lascia scampo,  da un proiettile non a loro destinato. Il titolo del libro intende lanciare una provocazione: sono mafiosi e assassini a trovarsi “al posto sbagliato nel momento sbagliato” e non di certo un diciassettenne che trascorre una normale serata con gli amici in pizzeria e “per errore” viene brutalmente freddato. Non è concepibile pensare che siano le vittime a trovarsi “nel posto sbagliato al momento sbagliato”, come troppo spesso ci capita di leggere sui giornali, sono al contrario criminali e assassini a dover essere considerati sbagliati, anormali, colpevoli. Ma esiste un antidoto concreto alla mafia? Bruno Palermo propone bellezza, cultura e famiglia come unici rimedi contro mafia, corruzione e omertà. “Le mafie si nutrono di bruttezza”- dice - “e solo il senso del bello e l’amore per la cultura possono ritenersi armi abbastanza potenti da estirpare la mentalità mafiosa”. Un libro intenso e interessante che, avvalendosi di un’accurata indagine tra le cronache italiane dai primi del Novecento fino ai giorni nostri, delinea il ritratto di un fenomeno da non far passare in secondo piano. L’autore aggiunge inoltre a riguardo: “Se non ci indigniamo più di simili avvenimenti e tendiamo a banalizzare siamo morti. E’ necessario  che l’indignazione non sia fine a se stessa e si configuri come un reale volontà di cambiare le cose.” Il dramma dei bambini vittime di mafia è concreto e non sporadico; è nostro dovere preservare le nuove generazioni: uccidere dei bambini equivale ad uccidere il futuro del proprio paese. Il libro mira  a smitizzare le mafie e a lanciare un messaggio di speranza che ci arriva proprio dalle famiglie delle vittime, che anche grazie a Libera non si abbattono, ma combattono la criminalità organizzata con coraggio ed impegno. Il libro, edito dal Rubbettino, è tra le opere finaliste al Premio Piersanti Mattarella 2016, nella sezione Libri Giornalismi, e verrà premiato a Roma il prossimo 20 Novembre.  

 

di Benedetta Persico III A

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George Orwell "1984" di Benedetta Persico, classe III A.

“In fin dei conti, come facciamo a sapere che due più due fa quattro? O che la forza di gravità esiste davvero? O che il passato è immutabile? Che cosa succede, se il passato e il mondo esterno esistono solo nella vostra mente e la vostra mente è sotto controllo?”

 

1984, Londra, provincia di Pista Uno. In seguito alla conclusione del conflitto mondiale, il mondo è diviso in tre superpotenze, in perenne guerra l’una con l’altra: l’Oceania, l’Eurasia e l’Estasia . Winston Smith vive sotto il regime totalitario del Socing (il socialismo inglese) imperante in Oceania, sotto la guida carismatica del Grande Fratello. La società è controllata in tutti i suoi aspetti tramite degli apparecchi, i teleschermi, che captano qualsiasi segnale acustico e visivo. Gli uomini sono divisi in prolet, ai quali non è richiesto di adattarsi al regime perché considerati inferiori e in membri del partito, impiegati nei quattro ministeri che gestiscono ogni aspetto della società: il ministero della Pace, il ministero dell’Amore, quello dell’Abbondanza e quello della Verità. Persino il pensiero è costretto ad adattarsi al dettame del partito: la pratica del bipensiero implica che il soggetto sia consciamente convinto della veridicità di qualcosa e al contempo inconsapevolmente consapevole della sua falsità. È in questo modo che ogni membro del partito preserva se stesso dallo psicoreato e quindi dalla vaporizzazione, una pratica somigliante alla damnatio memoriae di epoca romana. In una società in cui tutto è vero e falso allo stesso tempo, in cui solo pensare in modo diverso conduce alla cancellazione del nostro passaggio sulla Terra e in cui  tutti i piaceri vengono negati, Winston incontra Julia. Julia vuole cambiare le cose. Mentre Winston comincia a tenere un diario nel quale sfogare tutte le persecuzioni mentali subite a causa del partito, lei, più subdolamente passa ai fatti: apparente modello di ortodossia, vuole riprendersi tutto quello che le è stato negato, ricorrendo ai sotterfugi più impensati. I due intrattengono una relazione senza i vincoli imposti dal regime del pensiero del partito:  riscoprono il sapere perduto delle epoche precedenti al partito, di cui sono ormai rimaste pochissime testimonianze. Ma la fiaba ha vita breve ed entrambi vengono scoperti e portati via dalla psicopolizia. Entrambi hanno la possibilità di tradire l’altro per salvarsi dalle torture e darla vinta al partito e alle ideologie che hanno tanto ostacolato. Chi l’avrà vinta? Il regime assolutista del Grande Fratello o la forza di ribellione di due membri del partito che hanno ritrovato la loro umanità?

 

Fino all’ultimo capitolo questa è la domanda che perseguita il lettore, nella speranza che tutto possa concludersi per il meglio. La soffocante percezione di una realtà oltremodo controllata accompagna il lettore dall’inizio alla fine e lo porta a leggere tutto d’un fiato. La straordinaria percezione di venire catapultati in un mondo che terrorizza, in cui tutto è osservato e viene negata la verità, gli eventi storici e le diversità che contraddistinguono ogni essere umano non può che cambiare il proprio modo di vedere le cose.

Avvincente, profetico, a tratti inquietante: 1984 è il romanzo distopico per antonomasia, il ritratto perfetto dei regimi autoritari del Novecento. Possiede, come tutti i classici d’altronde, l’innata capacità di essere attuale in ogni epoca storica. È commovente la vicenda combattuta di due amanti in una società in cui l’amore, come lo intendiamo noi, è superfluo e lo stesso rapporto sessuale è svilente sia per l’uomo che per la donna, perpetuato solo a fini procreativi. Ma è soprattutto la ribellione del pensiero che cattura l’attenzione del lettore, il fatto che non si possa imbrigliare il pensiero umano e che in un modo o nell’altro esista sempre una possibilità di riscatto. Colpisce, inoltre, la formidabile capacità di Orwell nell’analizzare i regimi totalitari, tenendo a precisare che persino l’acquisto e la qualità del cibo veniva controllata dal partito (come ad esempio con il cioccolato e il caffè). I punti in comune dei regimi vissuti in prima persona da Orwell vengono realisticamente trattati: l’utilizzo di slogan; un capro espiatorio sul quale addossare tutti gli errori del partito; la  guerra perpetua con quella o quell’altra potenza come strumento di arricchimento economico e controllo sulle menti dei cittadini tramite il terrore. Un ritratto realistico del fascismo, del nazismo, dello stalinismo e del franchismo, in cui persino la produzione letteraria era controllata e modellata sulle logiche del partito. Romanzo di denuncia ai totalitarismi e non solo, costringe il lettore alla riflessione sulla propria libertà, porta a fermarsi a riflettere su quanto, ad oggi, si sia realizzato della profezia di “1984”.

 

Mondadori

2002, 336 pp.

11,00 Euro

 

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J. K. Rowling "Harry Potter e la pietra filosofale" di Olga Accogli, classe I A.

Ricorda: non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere”. Questa è una delle frasi più belle e significative del romanzo ‘Harry Potter e la pietra filosofale’ della scrittrice britannica J.K. Rowling

 

“Harry Potter e la pietra filosofale” è stato pubblicato il 30 giugno 1997 e ha avuto, fin da subito, un successo straordinario sia in Inghilterra che nel mondo. La sua autrice J. K. Rowling ha scritto quasi tutto il romanzo in un pub di Edimburgo durante un periodo drammatico della sua vita. La sua situazione finanziaria era a dir poco disastrosa e viveva con una figlia grazie ai sussidi statali.

Il manoscritto, dopo ripetuti tentativi fu sponsorizzato da un agente letterario che si vide opporre diversi rifiuti da alcune delle principali case editrici del Regno Unito, fino a quando la Blomsbury accettò di pubblicarlo senza immaginare il successo incredibile che avrebbe avuto.

Il successo di un libro è un mistero per tutti, addetti ai lavori compresi, ma in questo caso, oltre ad essere un mistero è un fatto davvero singolare perché l’autrice era sconosciuta e perché la letteratura per l’infanzia ha raggiunto raramente successi planetari in così poco tempo. Attualmentela Rowling grazie alle royalties dei suoi libri è la donna più ricca d’Inghilterra. La serie di libri su Harry Potter consta di sei storie e “La pietra filosofale” è la prima.

Il protagonista del romanzo è il noto undicenne Harry Potter, che sin da bambino rimane orfano a  causa di un essere malvagio soprannominato Lord Voldemort che uccise i suoi genitori con una maledizione mortale, alla quale solo il piccolo Harry sopravvisse, la maledizione invece di farlo morire gli fece rimanere solo una cicatrice a forma di saetta sulla fronte.

Egli vive nella normalità a casa dei suoi perfidi zii fino al suo undicesimo compleanno, giorno in cui gli viene rivelato il suo destino e il mondo misterioso a cui ha diritto di appartenere.

Questo romanzo è stato uno dei più belli che abbia mai letto nel corso della mia vita, anche se il risveglio dalla lettura mi ha lasciato piena di nostalgia da quel mondo fantastico per riportarmi nuovamente al mondo monotono a cui appartengo. Lo consiglio a tutti, ai più giovani e ai meno giovani.

 

Editore Salani

1998, 293 pp.

18,50 Euro

 

J. K. Rowling "Harry Potter e a maledizione dell'erede" di Antonio Angotti, classe III A.

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Vikas Swarup "Le dodici domande" di Elisabetta Cortese, classe II B

Ram Mohammad Thomas è un cameriere diciottenne che vive a Mumbai. Ha un nome indù, uno musulmano ed uno cristiano. Il suo terzo nome lo deve ad un prete che lo ha accolto quando i suoi genitori adottivi lo avevano abbandonato poco dopo averlo preso in adozione in un orfanotrofio di New Delhi. Ram, nella sua breve vita si era più volte messo nei guai, ma in questo momento sta passando il più serio: si trova in prigione, accusato di aver imbrogliato gli organizzatori del quiz televisivo "Vuoi vincere un miliardo?" aggiudicandosi così un montepremi pari ad un miliardo di rupie. In realtà gli organizzatori non avevano idea di come il ragazzo avesse potuto barare ma non era loro intenzione pagare una cifra così alta ad un "paria" come lui. Un giorno fa irruzione al commissariato di polizia una giovane donna, Smita Shah, che si presenta come l'avvocato di Ram. Riesce ad ottenere temporaneamente la scarcerazione del ragazzo, ma ciò non potrà impedire il processo che è già stato istituito a suo carico. Smita porta Ram a casa sua e quella notte riguardano insieme la registrazione del programma e Ram dovrà spiegare alla donna come faceva a sapere le risposte delle domande. Ad ogni risposta è legata un'avventura vissuta da Ram. In ogni capitolo la sofferenza e la drammaticità che il ragazzo ha patito alla fine verranno stemperate dall'ambiente frivolo dello studio televisivo. Il libro è composto da dodici capitoli, ad ogni capitolo corrisponde una domanda dello show televisivo. All'interno del libro ci vengono descritti i contrasti dell'India, divisa in due parti, da una parte la povertà più nera, dall'altra l'immensa ricchezza riservata ad una classe privilegiata. La storia di Ram mi ha fatto capire che nulla è mai come sembra e che non bisogna mai fermarsi alle apparenze. 


Mondadori 

2009, 270 pp

11,00 Euro

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Luca della Bianca "Argonauti" di Anastasia Ceraudo, classe II B

Un viaggio alla conquista di un trono sulla nave Argo, comandata dal grande Giasone. 

All’ interno della nave sono presenti tutti gli Argonauti, i più famosi eroi dell’antica Grecia, è presente anche il figlio di Zeus, Ercole che durante il suo viaggio verso la nave Argo viene assalito da due briganti e salvato da Leandro un giovane che non conosce le sue origini ed è stato adottato da una famiglia di pastori anche lui in viaggio per unirsi alla spedizione alla conquista del trono. 

L’autore Luca Della Bianca descrive ogni particolare della nave Argo, delle avventure degli Argonauti in un modo molto semplice e  racconta anche l’amore di Atalanta verso il principe Giasone, racconta il cambiamento di Leandro da pastore a eroe e anche della partenza di Argo (il costruttore della nave) e di due ragazzi che volevano salire sulla nave degli Argonauti. 

Ho trovato questo libro molto interessante e lo consiglio a tutti quelli che sono appassionati di mitologia e che amano i racconti dell’antica Grecia. E’ un libro che appassiona molto, dove puoi entrare a far parte del mondo greco, nel tempo in cui c’erano gli eroi, dove tutto era possibile grazie all’aiuto degli Dei, dove si combattevano guerre per conquistare importanti città.

Un romanzo di avventura che narra un viaggio alla ricerca di sé, un percorso di formazione arricchito dalla mitologia greca che riesce sempre ad affascinare i più.

 

Alfa Edizioni

2009

11,90 Euro

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Khaled Housseini "Il cacciatore di aquiloni" di Francesco Pugliese, classe II B.

Il cacciatore di aquiloni è un romanzo scritto da Khaled Housseini. Le vicende vengono narrate in prima persona dal protagonista del racconto e i fatti si svolgono negli anni '70, in Afghanistan, a Kabul, e successivamente in America.

I personaggi principali sono due ragazzi di nome Amir e Hassan, rispettivamente appartenenti uno alla razza pashtun e uno alla razza hazara. Hassan si rivelerà un amico molto fedele nei confronti di Amir, altrettanto non farà Amir nei confronti di Hassan.

Tra i personaggi più importanti e particolari del romanzo vi è sicuramente Baba, il padre di Amir: un uomo forte e rispettato da chiunque a cui non piace dimostrare il suo affetto verso il proprio figlio in modo diretto.

Poi vi è Rahim Khan, un personaggio assai carismatico a mio parere, amico molto stretto ed intimo di Baba che tiene molto ad Amir, infatti si sente bruciare dentro quando vede Baba essere molto duro con il figlio.

A dare il titolo al romanzo è il combattimento fra gli aquiloni, durante la gara vi era colui che teneva il filo dell'aquilone e l'assistente che alla fine aveva il compito di cacciare gli aquiloni avversari fuori uso in giro per la città. Amir e Hassan, come tutti i bambini della città, si preparano a lungo per questa gara, Amir vuole vincere per dimostrare al padre di non essere un debole e Hassan lo aiuta, è il suo cacciatore di aquiloni. Uno dei passatempi preferiti di Amir e Hassan era la lettura e, poichè Hassan non era mai stato a scuola era Amir che doveva leggere ad alta voce i racconti,  sotto un albero, su cui avevano scolpito le iniziali dei loro nomi, posto sopra una collina. Quel luogo è il simbolo della loro amicizia, passavano lì giornate e giornate, fin quando il sole non fosse calato all'orizzonte.

Amir, oltre la lettura, amava anche molto scrivere (la scrittura diventerà parte integrante della sua vita) e Baba di questo non ne era pienamente felice, egli, infatti, voleva un figlio attratto dallo sport e che volesse intraprendere all'università  una facoltà che poi gli avrebbe dato un lavoro fisso, ma Amir era diverso dagli altri e voleva diventare uno scrittore di grande fama (durante quel periodo essere scrittore non era un lavoro rassicurante per mantenersi da vivere visto i lunghi ed estenuanti periodi di guerra).

Un giorno, la vita di Amir cambiò per sempre. Sfortunatamente assiste ad un avvenimento spiacevole e crudele, lo stupro di Hassan. Da vigliacco Amir non intervenne a soccorrere l'amico ma restò lì a guardare e a pensare che Hassan, al suo posto, sarebbe stato pronto a perdere la vita piuttosto che vedere un amico soffrire.

Da quel giorno tutto fu diverso: Amir avendo capito che non era più degno di avere quell'amicizia unica e cercando di dimenticare quello che era avvenuto, provò in tutti i modi di far andare via Hassan e suo padre; ci riuscì.

Per tutta la sua vita Amir rimase con il rimorso di non essersi chiarito con Hassan, di non avergli chiesto scusa, di non avergli dato un abbraccio o di non avergli letto un altro racconto. Più avanti le cose cambiarono drasticamente. A causa della guerra, Amir e Baba emigrarono in America, lì Amir si sposò e dopo aver parlato l'ultima volta con Rahim Khan partì alla ricerca di Hassan.

 

Consiglierei a tutti questo romanzo perché trasmette emozioni forti e soprattutto grandi valori come l'amicizia e l'amore per la famiglia, il grande valore dello studio e della cultura. Ci fa capire, inoltre, quanto può essere violenta e crudele la guerra e quante ingiustizie sociali ci sono ancora al mondo.

 

Dal romanzo è stato tratto un film di grande successo diretto da Marc Forster.

 

Piemme

2004, 394 pp.

17,50 Euro

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Domenique Torrès "Libero" di Antonio Salvatore Renzo, classe II B.

 “ Libero”è un romanzo composto  dalla scrittrice  Domenique Torrès.

 La casa editrice che ha curato la pubblicazione è  Fabbri Editori e la prima edizione risale al marzo 2013. L’autrice è una giornalista francese che lotta da anni contro la piaga della schiavitù. Oltre ad essersi dedicata alla scrittura, a realizzare quattro film sulla schiavitù, ha fondato delle associazioni: tra queste ricordiamo il Comitè contre l’ esclavage moderne (comitato contro la schiavitù moderna) e dodici anni dopo Reagir dans le Monde ( Reagire nel mondo). La prima associazione, lotta contro la schiavitù in Francia, invece la seconda si occupa dello stesso fenomeno al di fuori dei confini nazionali, come in Niger.Il suo scopo principale è quello di aiutare le persone liberate dalla schiavitù a ricostruirsi una vita.

 

La trama del romanzo ha come protagonista Amsy, un ragazzino di dodici anni che vive in schiavitù nel deserto del Niger. La vita di Amsy e della sua famiglia è scandita tutti i giorni da una serie di compiti: cercare legna per il fuoco, condurre al pascolo le greggi, aiutare nelle faccende domestiche. E nessuno osa ribellarsi alla vita di schiavitù che conducono, frutto di antiche tradizioni. Una mattina, però, Amsy s’ imbatte in un uomo misterioso che gli parla della possibilità di una nuova vita all’insegna della libertà e lo invita ad andarsene con lui. 

 

Il libro mi ha particolarmente colpito  perché il linguaggio utilizzato dall’autrice è semplice, prevalgono sia i dialoghi che le descrizioni. Penso che i messaggi che l’autrice ha inserito in questa trama siano di facile comprensione e di straordinaria importanza. Per lei è necessario informare i giovani affinché abbiano una prova tangibile di cosa significhi vivere in condizione di schiavitù e continuino a lottare per ridare libertà e dignità a chi l’ha persa. Grazie a questo romanzo ho riflettuto su quanto sia importante la libertà e mi ha riportato alla mente Nelson Mandela, il più grande e importante leader sudafricano che è riuscito a porre fine in modo pacifico alla segregazione razziale dei neri da parte dei bianchi. In  una scala  di valori collocherei questo libro in una delle posizioni più alte in quanto tratta un argomento molto importante che sta alla base dei rapporti tra gli umani.

 

Fabbri Editore

2010, 93 pp.

10,00 Euro

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George Orwell "La fattoria degli animali" di Salvatore Messina, classe III B.

                                                  “ALL THE ANIMALS ARE EQUAL,

BUT SOME ANIMALS ARE MORE EQUAL THAN OTHERS”

“Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri”

 

 

“La Fattoria degli Animali” è uno dei romanzi più famosi del Novecento. Scritto da George Orwell nel 1943, ma pubblicato solo nel 1945, a guerra terminata, per il suo alto contenuto satirico, è un aspro manifesto, proposto in chiave allegorica e ironica, contro i regimi totalitari europei e lo sfruttamento dei liberi cittadini.

La storia narra le vicende che avvengono nella “Fattoria Padronale” del signor Jones, in Inghilterra. Una notte, il Vecchio Maggiore, il più anziano dei maiali, convoca tutti gli animali nella stalla per illustrare loro, con un discorso illuminante, quanto l’uomo li sfrutti, riducendoli in schiavitù.

Quindi li istiga alla Ribellione, predicando l’uguaglianza di tutti gli animali secondo i principi dell’Animalismo e dei Sette Comandamenti. Il Vecchio Maggiore muore pochi giorni dopo, ma la Ribellione non tarda ad arrivare. Nella notte della festa di San Giovanni, il signor Jones, tornato a casa ubriaco, dimentica di dare il cibo agli animali che, con un attacco deciso, scacciano lui e i suoi braccianti e si impadroniscono della fattoria, rinominandola “Fattoria degli Animali”.

A prendere le redini delle operazioni sono due maiali, Palladineve e Napoleone. I due, però, sono sempre in disaccordo sulle loro decisioni, tanto che, durante un’assemblea in cui si vota la proposta di Palladineve di costruire un mulino, Napoleone ordina ai suoi cani di inseguire Palladineve, costringendolo a fuggire per sempre dalla fattoria. Da quel momento il comando è affidato a Napoleone che, coadiuvato dagli altri maiali, facendo leva sull’ignoranza e la stoltezza del resto degli animali e manovrando a suo piacimento i Sette Comandamenti, riesce a sfruttare il loro lavoro e creare un sistema non molto diverso da quello del signor Jones. Alla fine, i maiali cominceranno a camminare su due gambe e sarà difficile riconoscerli dagli uomini.

 

Il romanzo è un chiaro attacco alla Russia e al governo totalitario di Stalin (Napoleone), che non si fa scrupoli ad eliminare i nemici politici (Trotzkij/Palladineve) con l’aiuto degli squadristi (i cani), ma è altrettanto bravo a sfruttare la propaganda giornalistica e l’indifferenza della chiesa ortodossa per sottomettere un popolo ingenuo, che crede ancora ad una politica egualitaria e fondata sulla dignità del lavoro. Come Boxer, il cavallo che rappresenta lo stereotipo dello stachanovista sovietico, che si piega al volere di Napoleone perché crede nel lavoro come unico fondamento di un sistema produttivo. La critica di Orwell, quindi, si allarga anche alla figura di Marx (Vecchio Maggiore) e all’idea del comunismo (Animalismo) da lui proposta, fondata sull’uguaglianza tra gli uomini attraverso il lavoro, un concetto utopistico che ha portato un popolo non abituato alla libertà come quello russo a dichiarare guerra alla monarchia e cadere, nonostante una rivoluzione durata quattro anni, nella trappola rappresentata da una forma di governo ancora più dispotica, la dittaturaPerché, in una società egualitaria i furbi hanno sempre la meglio sugli ignoranti, perché “tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri”.

“La Fattoria degli Animali”, perciò, è un capolavoro di scrittura. Orwell riesce, secondo lo stile della favola classica, a trattare temi alquanto impegnativi in una chiave satirica e fantastica, rendendone relativamente semplice la comprensione e scorrevole la lettura.

Tutto ciò ne fa un libro consigliabile non solo agli esperti in materia di storia e di politica, ma anche a chi vuole solo leggere un bel racconto  o  a chi è fermamente convinto che la cultura renda l’uomo libero e l’ignoranza lo renda schiavo degli eventi.

 

Oscar Mondadori

2015, 125 pp.

€10,50

 

 

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Niccolò Ammaniti "Io non ho paura" di Rebecca Garofalo, classe III B.

L’estate più calda del secolo. Quattro case sperdute nel grano. I grandi sono tappati in casa. Sei bambini, sulle loro biciclette, si avventurano nella campagna rovente e abbandonata. In m

ezzo a quel mare di spighe c’è un segreto che cambierà per sempre la vita di uno di loro.

Estate 1978. Afa, campi di grano e colline arse dal sole sono il contorno di un piccolo paese del sud. Poche case, pochi abitanti, famiglie che vivono di poco, lavorando duro e sognando una vita migliore, magari al nord.

Michele Amitrano ha dieci anni e corre con la sua bicicletta. ‘La scassona’ la chiama.I bambini sono tanti, sporchi, sudati e giocano tutto il tempo correndo per i campi in un’epoca in cui i giochi erano quelli all’aria aperta. Proprio durante un’escursione con la scassona e i suoi amici Michele si trova di colpo a fare i conti con un segreto terribile: un bambino tenuto prigioniero in un buco. L’uomo nero esiste nelle favole che gli hanno raccontato a scuola, ma Michele scoprirà che questo esiste anche nella realtà e sembra proprio corrispondere a suo padre. Infatti, nonostante questi sia un buon padre e lui e la sua sorellina gli siano molto affezionati, Michele si troverà a scoprire che la sua famiglia insieme ad altre famiglie del paese hanno organizzato un rapimento. La vittima del rapimento è Filippo, un bambino della sua stessa età appartenente però, per sua disgrazia, ad una famiglia ricca, alla quale è stato sottratto per ottenere denaro, un riscatto che rappresenta metaforicamente l’unico riscatto sociale di quelle famiglie. 

Ma Michele affermerà più volte ‘io non ho paura’ e nel coraggio estremo e commovente che può avere un bambino, che per indole riconosce dove sta il giusto, aiuterà il suo nuovo amico mettendo in pericolo la sua stessa vita.

 

Lo stile è meraviglioso, i piccoli "errori" grammaticali (ovviamente voluti) fanno sembrare davvero che a scrivere sia un ragazzino siciliano la cui lingua è una fusione tra italiano e siciliano, come tutti i bambini cresciuti in paese. Il linguaggio di Ammaniti è semplice, efficace e reale. I personaggi e i luoghi vengono descritti con molto cura, usando molti aggettivi. Ci sono dei monologhi interiori, delle riflessioni personali che aiutano il lettore ad immedesimarsi nella triste vicenda e nel tormento del protagonista.

 

A mio parere, “Io non ho paura” si distingue proprio per la semplicità con cui vengono trattate delle tematiche forti, che arrivano direttamente al cuore del lettore, coinvolgendolo in prima persona. La scelta di adottare il punto di vista di un bambino non diminuisce l’importanza dei temi trattati; penso piuttosto che sia utile per trasmettere in maniera efficace profonde emozioni e riflessioni. La vicenda di Michele è appassionante, con intensi momenti di suspense, e il romanzo che ne scaturisce è interessante sotto ogni punto di vista.

 

Einaudi

2001, 219 pp.

9,50 Euro

 

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Kurt Vonnegut "Mattatoio N° 5" di Simona Lettieri, classe II B.

In  “Mattatoio n°5” viene ricordato, con l’aggiunta di avvenimenti fantastici, il bombardamento di Dresda avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale. Il sottotitolo del libro è “La crociata dei bambini”, espressione utilizzata per mettere in evidenza la giovane età dei soldati che persero la vita in questo attentato, durante il quale l’autore stesso venne fatto prigioniero dai tedeschi.

Il protagonista è Billy Pilgrim, un ragazzo americano con l’eccezionale capacità di viaggiare da una dimensione spazio-temporale all’altra, lasciando il lettore spesso disorientato: senza poterlo impedire si ritrova ora a Dresda, ora rapito dagli alieni e esposto come esemplare della razza umana nello zoo fantascientifico di Tralfalmadore. Questi alieni dall’aspetto curioso hanno una loro personale concezione del tempo e della morte: “quando una persona muore, muore solo in apparenza, nel senso che nel passato è ancora vivo, per cui è veramente sciocco che si pianga al suo funerale”. A causa di questo loro ragionamento, Billy diventa quasi indifferente alle tragedie umane, commentando semplicemente con la frase: “Così va la vita”.

In questo contesto, Vonnegut racconta le proprie esperienze belliche, spesso in modo ironico, sviluppando la propria riflessione antimilitarista.

La storia, pur trattando temi importanti e tragici come i fatti accaduti a Dresda, non è riuscita a coinvolgermi come speravo a causa del linguaggio utilizzato dall’autore poco chiaro, a tratti quasi sgrammaticato, che ritengo inadatto a persone della mia età e che ha reso per me la lettura difficile, come difficili sono i temi affrontati, e in alcuni tratti poco interessante. Sicuramente si tratta di un romanzo diverso, "Insolito".

 

Feltrinelli

2003, 196 pp.

14,00 Euro

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Alessandro Cannavò "In viaggio con lo zio" di Rossella Verzina, classe II B.

Ragazzo ti saluto!

ah,dimenticavo:

ricordati che

la vita è come una stella

insomma... la vita è bella!

Mattia,luglio 2013

 

Viaggio con lo zio è un libro di Alessandro Cannavò, giornalista del "Corriere della sera", dove l'autore parla appunto del rapporto speciale con il nipote mettendo in evidenza la figura degli zii, spesso sottovalutata.

Il protagonista della storia, Mattia, ha undici anni, è siciliano e vive con la sua famiglia in un paesino alle pendici dell'Etna. Non è il classico ragazzino da videogiochi, è pieno di curiosità, studia il pianoforte ed è un gran fan dell'attore Terence Hill che segue da anni nella serie televisiva Don Matteo. Una sera Mattia riceve una lettera da suo zio Alessandro in cui c'è un biglietto aereo per Roma, un viaggio di cui avevano parlato mesi prima. Così i due partono insieme per un viaggio culturale dove ammirano le testimoniante degli antichi Romani, appena studiati a scuola, e altri tesori artistici. Roma è solo la prima tappa. Visitano la Sicilia, l'Alto Adige, Gubbio e insieme scoprono aspetti inediti della loro terra e incontrano persone straordinarie. Infine, Mattia dopo il suo impegno nello studio del pianoforte, partecipa ad un concorso a Gubbio, ultimo luogo di incontri con lo zio, dove tra pubblico c'è uno spettatore inatteso.

 

Una storia molto semplice, all'apparenza banale, ma interessante, anche perché tratto da fatti realmente accaduti. Un romanzo di formazione che indaga sulle paure e le insicurezze degli adolescenti, un romanzo sulla scoperta di sé che si disvela attraverso il viaggio tra i luoghi d'arte d'Italia. Grande rilievo viene dato in questo libro anche al tema dell'importanza dello studio e della sana curiositas che porta il protagonista a scoprire luoghi e persone nuove e che lo stimola a impegnarsi nella sua passione per la musica. La scrittura è facile e scorrevole e per questo adatto a qualsiasi tipo di lettore. 

 

Bompiani per la scuola

2015, pp. 128

8,50 Euro

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Khaled Hosseini "Mille splendidi soli" di Anastasia Lazzaro, classe II B.

"Mille splendidi soli" è il secondo romanzo DI Khaled Hosseini, scrittore afghano trasferitosi negli Stati Uniti dove, il suo primo romanzo "Il cacciatore di aquiloni" è diventato in poco tempo un best-seller vendendo migliaia di copie in tutto il mondo.

Il libro è diviso in 4 parti. La prima parte si apre con la descrizione della vita di una delle due protagoniste: Mariam. Questa è una figlia illegittima, nata dalla relazione tra un uomo d'affari ed una sua serva; abita con la madre, Nana, nella kolba vicino ad Herat, in Afghanistan. Il suo quindicesimo compleanno, segna il totale cambiamento della sua vita.

La seconda parte del libro, riguarda la vita di Laila, una ragazza più giovane e istruita di Mariam. Laila è cresciuta credendo nella speranza e nel futuro; sarà la guerra a unire i destini di entrambe. 

L'incontro tra Marian e Laila, narrato nella terza e ultima parte del libro, dà inizio ad uno stretto rapporto tra le due donne, quasi come madre-figlia; un rapporto di speranza, amore e condivisione.

 

Questo è un romanzo che reclama forti emozioni, che cattura il lettore, trasportandolo nelle terre narrate, come se potesse vivere lui stesso in prima persona gli avvenimenti che devono affrontare i personaggi. È un libro pieno di speranza e forza, che rappresenta la cultura afghana per quello che realmente è e non per quello che la gente pensa sia; un libro che trasmette al lettore il messaggio di non rinunciare mai agli obbiettivi che si desiderano raggiungere; un messaggio che intima di non rinunciare, di riprovarci sempre, che la vita è piena di sorprese.

 

Piemme

2007, 432 pp.

18,50 Euro

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Antonio Moresco "La lucina" di Mario Milea classe I A.

La Lucina è un romanzo di Antonio Moresco, pubblicato da Mondadori nel 2013.

Appartiene al  genere fantasy infatti  l’autore ci trasporta in un mondo immaginario che è il suo, ma che può diventare di ciascuno di noi a tal punto è coinvolgente nella lettura. Il protagonista ogni sera, affacciandosi dalla finestra della sua casa, vede una lucina in lontananza e cerca di capire cosa sia quella piccola luce: “Che lucina sarà? Chi l’accenderà. Ma chi ci vivrà lassù in mezzo ai boschi”. Da queste domande inizia il cammino di un uomo da un borgo isolato, attraverso boschi, dialogando con gli animali, con “ la pioggia, la grandine, il vento”, i terremoti, per scoprire il mistero della lucina. Si troverà davanti una piccola casa dove un  bambino misterioso vive da solo tra i boschi.  Diventano subito amici e grazie a lui svelerà il mistero della lucina. 

Il libro mi è piaciuto perché è dinamico e scorrevole: centosessantasette pagine di suspence, di descrizioni, di stati d’animo, di  figure strane. La parte che mi ha colpito di più è l’incontro del protagonista con il bambino dal quale non riuscirà più a staccarsi, anche quando scoprirà la verità su di lui…,  anzi si lascerà trascinare nel suo mondo forse per sfuggire alle sue sofferenze ed accendere un’altra lucina. Il finale è misterioso, un po’ come tutto il libro, il cammino del protagonista continua con un uomo misterioso verso l’ignoto (“dove andiamo?” “ Non lo so”).

E’ un libro adatto a tutti: a chi vuole gustarsi la descrizioni e le invenzioni dell’autore e a chi, soffermandosi, vuole riflettere sulla vita, spesso piena di sofferenza.

 

Mondadori

2013, 167 pp.

10,00 Euro  

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Zusak Markus "Storia di una ladra di libri" di Giusy Solito, classe I A.

È il 1939 nella Germania nazista. Liesel, una bambina di soli nove anni, è costretta a lasciare la madre insieme al fratellino per colpa della crisi e della Seconda Guerra Mondiale.

La sua carriera da "ladra" inizia proprio in questo periodo.

Si trova sul treno per Monaco, la città in cui si trovano i suoi genitori adottivi, ma per il troppo freddo il fratellino muore.

Al suo funerale la ladra compie il suo primo furto. Il prete perde tra la neve il suo libricino delle preghiere e lei lo raccoglie e lo porta con sé a Monaco. I libri iniziano ad affascinarla sempre di più. Un altro suo furto è stato compiuto quando Hitler ordina di bruciare in piazza tutti i libri e lei riesce a salvarne uno. Poi incomincia a rubare i libri dalla biblioteca della casa del sindaco, una vera storia d'amore quella di Liesel con i suoi libri.

 

Questo romanzo mi ha appassionata molto, mi piace la trama, il modo in cui è scritto e anche il genere. La scrittura è abbastanza semplice, i periodi sono corti e la narrazione è lineare anche se ci sono tantissime anticipazioni.

Lo consiglio a tutti gli amanti dell'avventura perché è un libro pieno di sorprese.

Secondo me il messaggio che vuole trasmetterci l'autore è che con la lettura si può evadere da tutto, anche dalle brutture della guerra, ed essere liberi. Per me la lettura è infatti il modo più economico e bello per viaggiare senza avere lo stress delle valige.

Dal romanzo è stato tratto anche un celebre film diretto da Brian Percival con Sophie Nelisse, Geoffrey Rush ed Emily Watson. 

 

Frassinelli 

2014, 563 pp.

16,90 Euro

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Hawkins Paula "La ragazza del treno" di Melania Piro, classe I A.

 

 

Il libro narra la complicata vita di Rachel, la protagonista del romanzo che vive nella periferia di Londra. Il narratore è interno ed è la protagonista stessa che racconta la sua storia in prima persona. La ragazza all’inizio parla del suo lavoro, del suo matrimonio e delle sue ambizioni che hanno fine nel momento in cui la storia con il marito Tom finisce. Una volta rimasta senza compagno senza lavoro e anche senza casa, Rachel inizia a sfogare le sue frustrazioni nell’alcool. La ragazza si sente sola a tal punto da spiare ogni giorno dal treno una coppia, formata da Megan e Scott. Li osserva, immagina le loro vite, ha perfino dato loro un nome: per lei, sono Jess e Jason, la coppia perfetta dalla vita perfetta. Non come la sua. Rachel pensa solo alla felicità e all’amore che emanano quei due ragazzi e li paragona alla sua storia d’amore e al periodo spensierato della sua vita. Il punto è che è solo apparenza e che la realtà di quella coppia è tutt’altro che felice e amorevole e Rachel presto lo scoprirà. Ma cosa potrà mai essere questa nuvola nera ad affliggere la coppia?

 

Penso che questo libro sia perfetto per chi ama la suspanse. Un thriller coinvolgente che ha avuto un grande successo editoriale e che narra perfettamente le oscurità e le perfidie della vita. Il messaggio che vuole trasferire ai lettori è molto forte e convincente: Insegna soprattutto che le prime impressioni, a volte, possono essere sbagliate e che dietro la perfetta armonia che ci piace immaginare nella vita degli altri, si nascondono spesso oscuri segreti.

 

Piemme

2015, 306 pp.

19,50 Euro

 

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Maryvonne Rippert "Cambiare musica" di Carlotta Pugliese, classe II B.

'Cambiare musica', scritto da Maryvonne Rippert e pubblicato per la prima volta nel 2016, è un libro incentrato sulla vita di una giovane ragazza intraprendente, amante del nero, del rock'n'roll e dell'heavy metal con un trucco palesemente pesante sugli occhi e una miriade di vestiti scuri che servono a nascondere i suoi difetti.

Il romanzo, cerca di illustrare i disagi provocati da quest'età, definita da tutti la più bella, ma anche la più difficile della vita di una persona.

Come tutti gli adolescenti, Luce, si sente invincibile, e spinta dalla curiosità cerca di sperimentare nuove cose.

In questo periodo così importante e complicato della sua crescita, la ragazza deve imbattersi nelle prime cotte, nei troppi compiti, nelle amicizie sbagliate e nei litigi con la madre.

Dopo la morte del suo papà, il rapporto con Ines, la mamma, inizia a sgretolarsi, ed è proprio questa la causa di tutti i suoi problemi.

Una mattina Luce si sveglia e nessuno è in casa; Ines l'aveva abbandonata, se ne era andata. Aveva lasciato un biglietto che la avvisava della sua partenza per un viaggio di lavoro.

La felicità di Luce era incontenibile, approfitta dell'assenza di Ines per organizzare feste, conoscere le persone meno raccomandabili della zona, mettersi con un ragazzo più grande di lei e permettere ad una sconosciuta di vivere in casa sua.

Si sentiva invincibile, libera, spensierata, tipicamente teenager.

Dopo qualche settimana, si rende conto di quanto le mancasse la mamma, di come non potesse gestire da sola la casa, di com'era vuota senza di lei; così inizia ad indagare, e scopre che Ines aveva preso delle ferie. Dov'era allora se non a lavoro?

Contattò quante più persone possibili e alla fine arriva una mail della madre che diceva di aver bisogno di una pausa.

Attraverso alcuni indizi scopre dove Ines si rifugiava e parte insieme al suo nuovo ragazzo per convincerla a tornare.

Con un linguaggio semplice ed appassionante, l'autrice rende la lettura di questo libro scorrevole ed interessante, permettendo a tutti di entrare nel mondo al contrario degli adolescenti e di comprendere le difficoltà che quest'età di incertezza ci porta ad affrontare.

 

Loescher Editore

2016

11,80 Euro

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Massimo Nava "Gobetti. Una storia di amore e sacrificio" di Ludovica Pugliese, classe II B.

“Credo che volendo migliorarci e diventare seriamente generosi in questo mondo dobbiamo rinunciare a tutto ciò che è vago, a tutto ciò che è personalmente interessante, troppo empirico, troppo limitato. Dobbiamo sacrificarci non inutilmente o rumorosamente, ma silenziosi, ogni giorno all’opra nostra; per quel che vale, essa diventa, appena esce da noi, appena si intrinseca, patrimonio di tutti.”

Questa è la filosofia di vita di Piero Gobetti. Un eroe, non come Achille o Ettore che combatterono per la propria gloria, un eroe vero, che ha portato avanti la lotta contro il fascismo, non per mettersi in mostra o per essere adorato, ma per perseguire i propri ideali, tentando di migliorare la vita sociale del proprio Paese.

La sua bellissima storia, viene raccontata in un breve romanzo tratto da “Storie del Quotidiano” e scritto da Massimo Nava, pubblicato per la prima volta nel 2014, intitolato, appunto, “Gobetti, una storia d’amore e sacrificio.”

Il libro presenta una cornice molto attuale. Infatti, attraverso i ricordi del proprio zio, un padre racconta al figlio Lorenzo la storia della lotta contro il fascismo, enfatizzando, naturalmente, la figura di Piero Gobetti. Lorenzo, studente di liceo classico, si appassiona alla figura di Piero Gobetti, scrittore e intellettuale torinese, nato a Torino il 19 giugno 1901 e morto in Francia, a soli venticinque anni, in seguito alle percosse ricevute dai fascisti. 

Dal momento che riviviamo la storia del famoso intellettuale torinese attraverso alcuni flashback, la lettura non è mai monotona intrecciandosi spesso con momenti di vita attuale. 

La lettura è scorrevole permettendo a tutti di comprendere il romanzo e il significato del messaggio che Gobetti ha voluto lasciarci.

Il lessico non è molto ricercato e difficile, visto che il libro è indirizzato a ragazzi e mira a far capire a noi giovani di costruirci un futuro nel quale vale la pena vivere e seguire i nostri sogni e ideali per i quali lottare.

Per quanto sia affascinante la biografia di Gobetti, non consiglierei di leggere questo romanzo, perché non è tanto appassionante e non rende per niente giustizia al coraggio e alla perseveranza di Piero Gobetti, che ha sacrificato la sua vita per il bene della propria nazione.

 

Rizzoli

8,40 Euro

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A. Conan Doyle "Il mastino dei Baskerville" di Alessia Vizza, classe II B.

Il Mastino dei Baskerville, un romanzo ambientato in una remota regione dell’Inghilterra, precisamente nel Devonshire, è un giallo che racchiude il fascino del soprannaturale e dei sentimenti umani, e vede il brillante personaggio di Sherlock Holmes come l’eccentrico e velatamente insopportabile investigatore.

La trama si avvia con la misteriosa morte di sir Charles Baskerville, che si pensa sia dovuta alla crudele maledizione che perseguita da secoli i propri congiunti.

Si narra, infatti, che il crudele Hugo, capostipite della famiglia, sia stato ucciso da un diabolico e gigantesco mastino mentre stava inseguendo una donna da lui desiderata, e, da allora, la maledizione ricade su tutti i membri della famiglia.

In seguito alla morte di sir Charles, gli eredi maschi di Baskerville venivano violentemente uccisi.

Così, per salvare il giovane Henry, ultimo membro vivente della sfortunata famiglia, il dottor Mortimer richiede l’aiuto di Sherlock Holmes, che dopo attente indagini, riuscirà a scoprire il colpevole di questi efferati omicidi.

Il Mastino dei Baskerville rientra sicuramente tra le opere più avvincenti e entusiasmanti di Arthur Conan Doyle.

Tramite la lettura scorrevole, riesce a far nascere nel lettore la suspense che continuerà fino alla fine del libro, con un finale assolutamente imprevedibile e ricco di particolari misteriosi.

Del romanzo mi è piaciuto particolarmente lo strano rapporto  tra Holmes e Watson, che, sebbene molto amici, sono differenti l’uno dall’altro per carattere e personalità.

Inoltre, un’altra cosa che mi ha colpita, è stata la descrizione particolareggiata del luogo in cui si svolge la vicenda, riuscendo così a trasmettere forti emozioni nel lettore.

 

Mondadori

2005, 187 pp.

10,00 Euro

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Simona Sparaco "Equazione di un amore" di Maria Sole Pignataro, classe IIIB.

“ In fisica quantistica, se due particelle interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separate, non possono più essere descritte come due entità distinte, perché tutto quello che accade a una continua a influenzare il destino dell’altra. Anche ad anni luce di distanza.”

 

 Questa è l’equazione di Dirac, meglio conosciuta come metafora dell’amore eterno, a cui l’autrice Simona Sparaco si è ispirata per la stesura del suo ultimo e attesissimo romanzo “Equazione di un amore”.

Simona Sparaco, scrittrice e sceneggiatrice, nasce a Roma il 14 dicembre 1978. Come afferma, dalle sue ultime interviste, l’idea di scrivere questo libro è nata dal fatto che si è considerata la persona adatta per poter parlare di un sentimento che tormenta ogni singolo uomo.

Tutto inizia in una bolla luminosa a misura di gente privilegiata, Singapore, in cui la nostra protagonista, Lea, che non indossa nemmeno un gioiello, ha lasciato Roma per seguire il marito. Ha sposato un avvocato di successo, avente grandi soddisfazioni nel campo finanziario; anche se a tratti evidenzia stati di malinconia, la ragione di Lea la convince che non avrebbe potuto fare scelta migliore che sposare Vittorio, uomo affidabile ed ambizioso. È un uomo che aggiusta tutto ciò che non va. Lea , invece, ha un cuore a cui basta pochissimo per confondersi come l’immagine di un ragazzino ambiguo, curvo su una scrivania, mentre le sta spiegando l’ultima lezione di matematica. Lui si chiama Giacomo, che compare di nuovo nella vita di Lea. Lo studente strano ma anche il più brillante, acuto e corteggiato della classe. Lea sa bene che dovrà stargli lontano, perché può farle solo del male, poiché in lui esiste un’ombra che lentamente lo sta divorando. Accanto a lei, sempre a sostenerla e consigliarla, l’amica onnipresente, rara e preziosa, che tutti dovrebbero avere, Bianca. Quando una piccola casa editrice accoglie il romanzo che ha scritto sulla vita di Lee Kuan Yew e della sua valigia rossa ed è costretta a tornare a Roma, ogni suo proposito crolla rivedendo Giacomo. Il passato le travolge di nuovo la vita con più violenza e pericolo a tal punto da decidere di lasciare quell’uomo eccezionale che è Vittorio per un uomo che le aveva solo fatto male, ma che considerava la sua particella, da cui ormai dipendeva. Ma proprio quando la vita di Lea stava per raggiungere il suo completamento, appena scesa dall’aereo per riportare la sua decisione a Vittorio , il cuore di Lea smette di battere, abbandonando sia il marito che il suo amato Giacomo. Giacomo saprà tutto da un post messo su facebook da parte dell’amica Bianca che saluta per l’ultima volta la sua migliore amica. Dopo la morte Vittorio firma la carte della donazione degli organi di Lea, ed è proprio qui che entra in gioco la meravigliosa equazione di fisica. Infatti Giacomo, passato già diverso tempo, camminando per le strade di Singapore, incontra lo sguardo di una singaporiana  Lin Yu e, da come fa intuire il finale del libro, è proprio questa donna ad aver ricevuto in dono il cuore di Lea.

L’ho ritenuto un romanzo che lascia senza fiato, una storia fatta di passione, in cui ogni vicenda è raccontata in modo dettagliato e in cui viene utilizzato un linguaggio dolce che ti fa quasi sentire parte della storia stessa. Una storia carica di emozioni e colpi di scena. Un’osservazione completa dell’amore e del destino di due persone che sono entrate in contatto e che rimarranno legate per sempre, anche se lontane anni luce.

 

Giunti Editore

2016, 252 pp. 

18,00 Euro

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Margaret Mazzantini "Mare al mattino" di Eleonora Parise, classe II B.

Il romanzo “Mare al Mattino”, della scrittrice italiana Margaret Mazzantini, potrebbe essere definito romanzo realistico, in quanto cerca di illustrare nel più completo dei modi la vita di quella povera gente che, a causa della guerra, è costretta ad affidarsi al mare precario in cerca di fortuna.

È inutile descrivere l’ambientazione iniziale del racconto, una terra inaridita dall’odio e dalla cattiveria della guerra libica, mozzoni di case saltate in aria grazie alle bombe più efficaci del mondo. Uno scenario lugubre, terrificante, che viene visto ogni giorno dagli occhi dei bambini, dei ragazzi. E, a parer mio, questo libro è narrato proprio da quegli stessi occhi.

Protagonisti del racconto sono Farid, libanese che scappa dalla guerra e giunge in Sicilia, e Vito, diciottenne siciliano ma di origine libica. Ad accomunarli c’è solamente una cosa: il mare. Entrambi lo sfruttano, ma in modi differenti. Per Farid è un’occasione, un’ancora di salvezza, la via della luce. Per Vito è una “valvola di sfogo”, nel mare rivede tutti i suoi sogni infranti, le sue speranze perdute, nel nuoto la possibilità di recuperarne qualcuna. Ma ormai da tempo non si tuffa più. Da quando ha scoperto che il suo stesso mare è letto di morte per tanta povera gente, lo vede con occhi diversi. Si limita a restare sulla riva e a raccogliere ciò che le onde trascinano con furia fuori dall’acqua, oggetti e giocattoli che non torneranno mai più nelle mani dei proprietari che quello stesso mare ha deciso di tenere con se. È un romanzo che induce a riflettere su quanto sia inutile la guerra, questa guerra che strappa alle madri i propri figli, ai figli le loro famiglie. Solo odio e macerie rimangono per le strade e nei cuori di chi ha visto questo scempio con i suoi stessi occhi.

Ritengo che sia un libro meraviglioso, coinvolgente, interessante, educativo e allo stesso tempo commovente.

Penso che lo rileggerò volentieri e soprattutto che tutti debbano leggerlo, così da fare un passo avanti nel cercare di comprendere realmente la disperazione di questa gente che è disposta a fare qualsiasi cosa pur di sorridere ancora una volta.

 

Einaudi

2011, 127 pp.

12,00 Euro

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Murakami Haruki "Norwegian Wood" di Enrica Nicolazzi, classe II B.

"Per quanto una situazione possa sembrare disperata, c'è sempre una possibilità di soluzione. Quando tutto attorno è buio non c'è altro da fare che aspettare tranquilli che gli occhi si abituino all'oscurità"  

 

"Norwegian Wood", romanzo dell'autore giapponese Murakami Haruki, ha subito saputo conquistare la mia curiosità e molti dei suoi passi li porterò sempre con me.                                   

Il libro trae il proprio titolo da una delle più celebri canzoni dei Beatles che costituisce per l'autore una sorta di flashback che lo porterà ad esprimere i lati più intimi e nascosti di se stesso.  La storia è ambientata nel Giappone degli anni '60, un Giappone visto all'interno di una rivoluzione studentesca, un Giappone innovato che farà da palcoscenico alla molteplici e intriganti avventure dei personaggi.                                                                                         Il personaggio principale è Toru, un ragazzo di appena 19 anni, la cui vita è stata fortemente segnata dalla morte del suo migliore amico, Kizuki.  La fortuna del giovane sarà condividere la tristezza di questa enorme perdita insieme alla fidanzata di Kizuki, Naoko. Toru e Naoko sembrano vivere su un mondo parallelo, riescono a capirsi proprio perché quella morte li ha segnati per sempre: attraverso i loro silenzi, i loro sguardi, riescono a rimembrare quella figura così importante della loro vita, la loro complicità è così forte da portarli ad innamorarsi l'uno dell'altro. Tuttavia per Naoko non è semplice, prova in tutti modi a riuscire ad amare Toru ma viene travolta dalla depressione: i sensi di colpa nei confronti del suo fidanzato defunto la assalgono ed a questo si aggiunge il dolore per la sorella, morta suicida. Toru a differenza di Naoko riesce a reagire, a prendere in mano la sua vita tanto da innamorarsi di un'altra ragazza, Midori, con cui condivide dolcissimi momenti. Le ama entrambe, ma deve scegliere, o una o l'altra, la sua scelta verrà, infine, dettata dal destino.

La storia racconta di un viaggio alla ricerca dei proprio sentimenti,  di un ragazzo insicuro, assalito dalla paura di aver sbagliato o di sbagliare ancora, un ragazzo della mia età, un adolescente. Questo libro dedicato ai morti e ai vivi, incentrato sul significato della morte e il significato che assume in ognuno  di noi, mi ha insegnato che chi muore resterà presente nella vita  di chi lo ha amato e che la sua importanza non riuscirà a dissolversi con il tempo .  "Norwegian Wood" tratta anche l'amore e la sua straordinaria potenza, portando a riflettere , allo stesso tempo, sulla paura di restare soli,  sulla solitudine,  l'incubo che invade tutti gli adolescenti, il desiderio di entrare nel mondo degli adulti e il bisogno di essere se stessi.

E' come se questo romanzo mi avesse catapultato in Giappone, facendomi immedesimare in Toru, era come se quei dolori, quelle angosce, quei dubbi li stessi vivendo anche io, le parole sono state capaci di toccare la parte più intima di me.

Quello di Murakami Haruki è un romanzo che merita di essere letto, un libro che fa crescere, un libro che merita di essere vissuto.

 

Einaudi

2006, 379 pp.

12,00 Euro

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James Dashner "Il labirinto" di Viola Piro, classe I B.

‘’Il labirinto’’ è uno dei romanzi della trilogia ‘’The maze runner’’ di James Dashner, scrittore contemporaneo autore anche di ‘’The mortality doctrine’’,  nato e cresciuto in Georgia e attualmente residente nello Utah con la moglie e i quattro figli.

Thomas, il protagonista, si sveglia in un ascensore e, quando le porte si aprono, si trova davanti un ampio spazio delimitato da altissime mura che non fanno passare nemmeno la luce del sole, la Radura. In questo spazio ci sono altri ragazzi. Pian piano nasce un’organizzazione per mantenere l’ordine, e ogni mese un nuovo ragazzo si aggiunge alla Radura. Ogni mattina le porte del labirinto che circonda la Radura si aprono per poi richiudersi la sera. Tutto questo fino all’arrivo di una ragazza, Teresa, la quale è stata mandata per portare un messaggio che li aiuterà a fuggire da questa trappola mortale.

E’ un libro molto affascinante, cattura l’attenzione e trasporta il lettore in un altro mondo, dove giorno per giorno si devono affrontare sfide per sopravvivere. Si entra in sintonia con i personaggi e, soprattutto, ci si inizia a porre le stesse domande che si pongono loro.

Nonostante qualche tratto del romanzo risulta più difficile e pesante e poco scorrevole, non sono riuscita a staccare gli occhi dal libro.

Per questo consiglio a tutti gli appassionati di libri d’azione e avventura di leggerlo assolutamente!

 

Fanucci editore

2014, 408 pp.

14,90 Euro

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F. Scott Fitzgerald "Il grande Gatsby" di Pasquale Gumari, classe I A.

Tra i tanti libri letti, tra i preferiti, c'è "Il grande Gatsby". Questo romanzo è stato scritto dallo scrittore statunitense Francis Scott Fitzgerald.

Il Romanzo fu pubblicato per la prima volta a New York nel 1925. Ambientato a New York e a Long Island durante l'estate del 1922. La storia, viene raccontata da uno dei personaggi.

Narra la tragedia del mito americano che aveva retto il paese dai tempi dello sbarco a Plymouth Rock e può essere pensata come l'autobiografia di Fitzgerald che, ad un certo punto della sua vita, chiuso con l'alcolismo e con la vita da playboy, voleva capire quali fossero stati gli intralci che avevano fatto affondare la sua esistenza. Secondo il mio parere Fitzgerald «riflette, meglio che in tutti i suoi scritti autobiografici, il cuore dei problemi che lui e la sua generazione dovettero affrontare. In Gatsby, pervaso com'è da un senso del peccato e della caduta, Fitzgerald assume su di sé tutta la debolezza e la depravazione della natura umana».

In questo Romanzo si mette in risalto la figura dell'uomo sempre più assetata di ricchezza e di potere, che  si lascia alle spalle i veri valori della vita. Vale la pena di leggerlo perché è un bel libro, ricco di temi attualissimi. Racconta la solitudine umana, la vacuità degli oggetti e la superficialità delle persone. Racconta le illusioni, irrealizzabili ma necessarie, come quella luce verde che Jay Gatsby vede al di là della baia di West Egg.

 

Mondadori

2001, 272 pp.

10,00 Euro

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Charles Dickens "Oliver Twist" di Francesca Scalfaro, classe II A.

“Oliver Twist” è un romanzo scritto da Charles Dickens. Quest'ultimo instituisce un rapporto quasi intimo con il romanzo stesso, sicchè un disegno quasi autobiografico viene a celarsi dietro le sue molte cifre, dietro la linea quasi allegorica della narrazione.

Oliver Twist nasce e viene educato in un ospizio di mendicità, contiguo ad una cittadina d'Inghilterra, che il narratore s'astiene dal menzionare. Oliver è condotto per la prima volta a Londra, con un percorso non casuale ma che ricorda quello che veniva seguito nell'Ottocento provenendo da nord-est. È proprio in una delle strade di Londra, durante un momento di assoluta disperazione che Oliver, contro la sua volontà, entra a far parte di una banda di ladruncoli diretti da Fagin, un uomo senza scrupoli. Durante una delle scorribande del gruppo, il ragazzo viene accusato di furto. Per fortuna presto scagionato, Oliver viene ospitato dal signor Brownlow, proprio colui che era stato derubato ma che è colpito dalle condizioni fisiche in cui versa il piccolo protagonista. Da qui la storia è un susseguirsi di eventi che man mano diventano sempre più tristi ma anche risolutivi, con un lieto fine.

Il mondo di Dickens è popolato da onesti e corrotti, da gente malvagia e da gente di cuore; la penna dello scrittore è come un telaio pronto ad intrecciare le storie di vita degli uni e degli altri. Un enorme gomitolo intricato come il destino e come la vita, a tratti si creano nodi difficili da sciogliere, nodi che fanno scemare la fiducia e la speranza, in attesa che sopraggiungano momenti più fortunati e la giustizia sembri riemergere. La puntualità nella narrazione, il sentimento, l'avventura, colorano la trama rendendo questo romanzo intramontabile.

 

Mondadori 

2001, VI edizione

10,50 Euro

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Luigi Garlando "Per questo mi chiamo Giovanni" di Francesca Fonte, classe IV A

23 Maggio 1992: la strage di Capaci, un evento traumatico che segnò profondamente l'Italia.

Morì nell'attentato Giovanni Falcone, ma le sue idee rimasero vive più che mai insieme ai suoi princìpi. Poche ore dopo l'accaduto, notiziari, stampa, media avevano già diffuso la notizia affinché tutti venissero a conoscenza di quanto successo. È proprio questo l'intento del padre di Giovanni, il protagonista del libro "Per questo mi chiamo Giovanni": far conoscere al proprio figlio la storia di Giovanni Falcone e al contempo spiegargli cos'è la criminalità organizzata e come essa agisce sul territorio siciliano.

Questo è il tema centrale del libro di Luigi Garlando che, attraverso il papà di Giovanni, spiega in modo semplice cos'è la mafia, un argomento molto complesso che necessita di una conoscenza approfondita e dettagliata per poter essere spiegato.

L'autore, mediante metafore straordinarie e utilizzando elementi della quotidianità, ha reso scorrevole e comprensibile la narrazione e, nonostante il contenuto sia molto forte e non facile da affrontare, è riuscito a rendere piacevole la lettura.

"Per questo mi chiamo Giovanni" è un libro stimolante e in alcune parti agghiacciante, coinvolge il lettore tanto da farlo sentire subito padrone della storia narrata. È un libro che insegna e, se letto da giovani ragazzi, permette loro di far luce su una triste realtà che avvolge il meridione italiano, una realtà non conosciuta o alla quale non si danno le meritate attenzioni e il giusto peso.

 

BUR

2012, 154 pp.

11,00 Euro

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Fabio Volo "E' tutta vita" di Pasquale Lazzaro, classe III A

Il segreto di una relazione non è continuare ad amarsi, ma far andare d’accordo le due persone che si diventa stando insieme” .

Così scrive lo scrittore italiano Fabio Volo nel suo romanzo E' tutta vita, pubblicato nel Novembre 2015, che parla di un uomo ed una donna follemente innamorati, Nicola e Sofia.

I due protagonisti quando si incontrano cadono nella trappola dell'amore. Profondamente diversi i due, l'essere mondano di Nicola da una parte, dall'altra Sofia, una donna che preferisce il lavoro per riempire gli spazi della sua vita.

Dopo varie difficoltà e dovendo affrontare la distanza, finalmente decidono di andare a convivere, coinvolti dalla passione e dall'amore. Sofia resta incinta e dopo 9 mesi mette alla luce la loro più grande gioia, il piccolo Leo. L'avvenimento, che all'inizio potrebbe sembrare per loro un qualcosa che salderà ancora di più il loro amore non sarà così. Via via il rapporto si logora ed inesorabilmente si dividono lentamente.

Quindi la loro passione è ancora viva? I due avranno la tenacia di amarsi e di mantenere il loro legame?

Lo scrittore in questo libro mostra come sia la realtà a renderci così deboli alcune volte.

Una trama semplice, scritta in modo elementare e fluida ma sopratutto molto astuta. Un romanzo che sicuramente vi farà pensare alla vita reale, alla vita quotidiana, ai problemi della vita, perché in fondo è tutta vita.

 

Mondadori

2015, 234 pp.

19,00 Euro

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Matteo Marani "Dallo scudetto ad Auschwitz" di Antonio Angotti, classe II C

"Dallo scudetto ad Auschwitz" è un libro scritto dal giornalista italiano Matteo Marani.

Si tratta di un'opera biografica riguardante la vita di Arpad Weisz, calciatore e allenatore nella prima metà del '900, ungherese, di religione ebrea, morto nel campo di concentramento polacco di Auschwitz assieme alla moglie e a suoi due figli.

Il libro tratta non solo la vita calcistica di Weisz, considerato da molti il miglior allenatore della storia del calcio italiano, ma anche del suo quotidiano, perché l'ungherese era una persona normalissima, molto umile, perché il calcio, prima della Seconda Guerra Mondiale, non rendeva delle stelle i suoi protagonisti, dava loro semplicemente da vivere dignitosamente ed era a malapena professionistico in Italia e in qualche altro paese. Arpad Weisz, come detto, era ebreo, ma non praticante. Purtroppo questo non gli risparmiò la morte in una camera a gas di Auschwitz.

Anche se non fu quella la sua vera morte.

No. Perché Arpad Weisz fu un allenatore di una straordinaria intelligenza dentro e fuori dal campo che gli permise di ottenere tre scudetti in Italia, uno con l'Inter e due col Bologna, e altri successi in Europa.

Perché Arpad Weisz era dalla mattina alla sera con un pensiero fisso nella testa: un pallone.

Perché l'ossigeno di Arpad Weisz era il calcio, e non si può vivere senza ossigeno. Pur dovendo lasciare l'Italia per colpa delle leggi razziali, riuscì a raggiungere prima la Francia per qualche mese, e poi l'Olanda, dove allenò il Dordrecht, guidando una squadra di ragazzini alla ribalta ad una salvezza che sembrava impossibile. Ma la fama non lo salvò. E quando nel Settembre del 1941 gli fu proibito di continuare ad allenare, non poteva che sentirsi già morto dentro. E la camera a gas fu solo una semplice formalità, il novantesimo minuto di una partita che sembrava poter vincere, ma che invece perse.

Perché non importa se sei famoso, se molti ti amano, la morte non guarda in faccia nessuno...però forse con Arpad Weisz speravamo potesse  farlo.

 

Alberti editore

2007, 207 pp.

14,00 Euro

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Veronica Roth "Divergent" di Chiara Tigano, classe I A

Il primo appassionante romanzo di una trilogia ricca di emozioni, avventure e colpi di scena; ambientato in uno scenario post guerra. Dopo la firma della Grande Pace, Chicago è suddivisa in cinque fazioni dove ognuna di essa rispecchia un ideale ben preciso: gli Eruditi consacrano la sapienza, gli Intrepidi il coraggio, i Pacifici l’amicizia, gli Abneganti l’altruismo e i Candidi l’onestà. Beatrice, la protagonista, nasce in una famiglia di Abneganti. Giunta ormai all’età di sedici anni deve scegliere a quale fazione unirsi, con il rischio di rinunciare alla propria famiglia. Tutti si aspettano che lei semplicemente abbracci le proprie origini e resti nella fazione d’appartenenza. Tutti tranne lei. Per quanto altruista e generosa, in Beatrice scorre il brivido della ribellione, della voglia di vivere al massimo, di sentire il vento tra i capelli, di essere libera. Prendere una decisione non è facile, e il test che dovrebbe indirizzarla verso l’unica strada a lei adatta, si rivela inconcludente. Beatrice non è come tutti gli altri, lei non è predisposta per una sola fazione, ma per tre. Beatrice è una Divergente e il suo segreto - se reso pubblico- le costerebbe la vita. Alla fine però deve prendere una decisione così, seguendo il suo istinto, sceglie gli Intrepidi, abbandonando la propria famiglia. E, come se non bastasse, l’istruttore della sua nuova fazione inizia a dubitare sulla sua Divergenza.

È un libro semplice, ma penetrante e incisivo, capace di far trattenere il fiato. Destinato agli adolescenti, ma in fondo adatto a chiunque cerchi una letture originale, d’azione e di sentimento, e –strano a dirsi considerati i vari combattimenti presenti- curiosamente delicata.

 

De Agostini

2012, 480 pp.

12,90 Euro

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Un libro magico, una storia che fa sognare.

Roberto Vecchioni "Il libraio di Selinunte" di Federica Versea, classe V B.

 

"...parole di romanzi e versi come cose da toccare 

e al frusciare di pagine mi sentivo volare... 

e le parole come musica di seta 

mi prendevano per mano, 

e mi portavano lontano dove il cuore 

non si sente più lontano"

La parola: “lei non vola nel vento, sa diffondere incanto”

 

Diversi studi e sondaggi dimostrano che ognuno di noi pronuncia in media dalle 5.000 alle 9.000 parole al giorno, ne facciamo un uso esasperato, un uso prolungato e non misurato; parliamo, ci esprimiamo, mettiamo insieme parole e costruiamo frasi, enunciati descrittivi e prescrittivi e senza accorgercene   costruiamo un mondo, il nostro, un mondo fatto di studenti che si scambiano pareri a proposito di un dato esame, fatto di anziani che raccontano ai nipoti aneddoti riguardanti la propria gioventù, fatto di amori che sbocciano, che nascono, amori che finiscono e che racchiudono tutto l'arco di una storia, tutta l'essenza di una vita insieme  all'interno di poche parole urlate, non pesate, non volute, non sperate e mai accettate. E' il mondo delle parole pensate e non dette, delle frasi non volute ma scritte, il mondo dei pensieri pensati e svaniti, dei giorni intensi e mai vuoti, il mondo di quella parola mai stanca, ma ferma, tagliente, e di quelle che invece volano solo nel vento.

Ed è per quest'uso inflazionato che si fa delle parole che non ci si ferma a riflettere, non si tenta di udire la loro assenza o disuso in un rumore diffuso. “Quanto potere può avere una singola parola? Quanto valore le assegniamo nel pronunciarla? Quanto può fare la differenza? Quanto può condizionarci e cambiarci la vita?”  Ce lo siamo mai chiesti? Forse da piccoli, forse solo allora; quando guardavamo il mondo per la prima volta, quando tutto sembrava una scia di splendore e naturale era chiedersi:  “Perchè?” “Perchè usiamo questa parola e non un'altra?”, “Perchè diciamo mamma? Perchè papà? Perché un ti voglio bene non somiglia a un addio? Perchè? Qual è la differenza fra giusto e sbagliato? Perchè diciamo amore? Perchè dolore?“. Crescendo, queste domande iniziano a sfumare insieme all'interesse e al valore  che si dà alle parole nel pronunciarle.

Studiando, ci viene insegnato a riconoscere l'etimologia di ogni vocabolo, a capire da dove quel dato termine derivi e quali significati nasconda, ci si fa cogliere il valore delle sfumature, degli effetti che suscita, ma chi mai, nel mondo tecnologico della scrittura automatica, degli sms abbreviati e degli “emoticon” si è soffermato seriamente sullo studio delle etimologie???

Leggendo un libro di Roberto Vecchioni, “Il libraio di Selinunte”, tutto è divenuto più chiaro; Questo libro, con sorprendente incanto, pone l'accento su un concetto che è proprio quello su cui ognuno di noi,  dovrebbe concentrare la propria attenzione: “La parola non è un oggetto casuale, una merce di scambio, un codice di comodo: è la storia, l'intelligenza che adatta e reinventa, l'emozione che dà accenti, ritmi, soavità e burrasca, aspetto, volto alla muta condizione del cuore. La parola ricorda, ricorda come eravamo, perché siamo, come saremo, ricorda nell'intimo della sua essenza , in una memoria che sopravvive ai suoi nuovi colori e ai suoi vecchi significati, perché, se le cose le ha create Dio, le parole sono le cose ricreate dagli uomini: è quel nome, la vita.” 

Nel libro si racconta la storia degli abitanti di una piccola cittadina greca, Selinunte, si svegliano un giorno e non hanno più le parole per dire “giorno”, scendono in strada e non hanno più le parole per dire “strada”, scoprono così che tutta la città è piena di smemorati che vagano sperduti in una nebbia di cose senza nome, incapaci di parlare e di ricordare, incapaci persino di pensare. Per loro non sarà più possibile essere quelli che erano, non sarà più possibile dare voce ai propri sentimenti, alle proprie debolezze, ai propri sogni e ambizioni, alla propria natura, perché questa è svanita insieme alle loro parole, alla loro storia. Selinunte si ritrova priva della sua stessa storia proprio perché non ha saputo vivere, apprezzare, non ha saputo credere e capire cosa significassero quelle parole, quanto valessero e anziché accogliere con gioia l'apertura di una biblioteca fra le sue strade, sorgente di arte e cultura, ha scelto e preferito il disprezzo, la diffidenza e l'odio giungendo persino a dare  fuoco al palazzo, condannando al rogo per sempre secoli di parole e di poesia, condannandosi eternamente all'oblio e alla dimenticanza, “...e le parole dal nulla volarono via portandosi con sé il senso del nostro passato; da quel giorno fu come se per dipingere avessimo tutto tranne i colori.” 

Questo libro svela a suo modo quanta strada si sia fatta con le parole, quanto queste siano state disprezzate, derise, calpestate, per poi rialzarsi più forti di prima e lasciare il segno indelebilmente. Le parole sono giunte a Selinunte in punta di piedi, silenziose, leggere, poi inaspettatamente hanno rivoluzionato la vita di un giovane studente, Frollo, gli hanno fatto scoprire valori, principi, gli hanno fatto venir voglia di viaggiare, anche con le sole ali della fantasia. Gli abitanti di Selinunte però non hanno accettato questo dono e le parole son state uccise, massacrate dall'ignoranza e dall'ipocrisia e senza fare rumore, son volate via, per sempre.

Parola come rivoluzione, parola come riscatto, come urlo, come grido disperato, parola come riso, come gioia innata, parola urlata, caduta, rialzata, parola di pace, di libertà, di vita. Vivere è poter parlare, poter esprimere i propri pensieri per mezzo delle proprie parole senza correre il rischio di perderle, o di non poterne più esprimere, è sentirne l'essenza, il significato e non smettere mai di diffonderlo. Con la parola si sono portate avanti battaglie e raggiunto vittorie che nemmeno 10.000 eserciti alleati sarebbero riusciti a concludere in maniera migliore, con la parola sono state fomentate masse, persuase persone,  portate avanti ideologie, promesse, sfide. Per la parola centinaia di giornalisti, di uomini, sono stati uccisi perché queste erano state troppo forti, troppo potenti e un uomo in grado di smuovere così tanto gli animi con delle parole, un uomo bravo a usarle e non timoroso di rivelarle fa paura, paura all'ipocrisia e agli ipocriti, paura all'omertà e agli omertosi, paura all'indifferenza e agli indifferenti. Potenza, paura,  parola. Considero ogni parola un atomo di tempo, un qualcosa che esiste oltre il per sempre e al di là del mai più, svincolata dall'atomo che viene prima e da quello che lo seguirà dopo; è sola, libera, infinita, tutte le parole lo sono. 

Einaudi

2004, 68 pp.

8,00 Euro

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Un romanzo sul perdersi e il ritrovarsi, sull'accettazione di sé.

Massimo Bisotti "Il quadro mai dipinto" di Elisabetta Cortese, classe I B.

È una mattina di giugno, quando Patrick, insegnante di pittura con la " sindrome del quadro mai dipinto", una sindrome che lo ossessiona a tal punto da non riuscire mai a terminare del tutto una sua opera immaginando sempre una scena successiva per ogni suo quadro, decide di trasferirsi a Venezia, città d'acqua e incanti. Prima di lasciare casa sua per recarsi in aeroporto, vuole dare un ultimo sguardo al quadro, da lui dipinto, che ritrae la donna che ha tanto amato. Quando scopre la tela, la vede vuota. Sgomento, Patrick corre in aeroporto per prendere l'aereo diretto a Venezia, durante il volo batte la testa, all'arrivo, colpito da un'amnesia, si ritrova confuso, non ricorda il motivo per cui è partito. Al suo arrivo nello scalo veneziano, tra la folla intravede una donna dall'aspetto familiare, questa visione gli provoca un sentimento d'angoscia. In tasca ha un biglietto con un indirizzo: "Residenza Punto Feliz", qui troverà una strana famiglia pronta ad accoglierlo. Miquel, il proprietario della residenza, uno spagnolo saggio di cui è facile fidarsi, lo metterà in contatto con Vince, gondoliere con il cuore spezzato da una storia d'amore finita male, che gli farà da guida per la città. La nuova vita di Patrick scorre tra amnesie e scoperte, finché durante una festa incontra Raquel e non ha dubbi: è lei la donna sparita dal suo quadro, la stessa che ha visto all'aeroporto appena arrivato. Durante la serata le racconta la vicenda della donna sparita dalla sua tela, della forte somiglianza che c'è tra lei e la figura del suo quadro, ma non le dice che ne è sicuro e le chiede se può ritrarla. Durante i loro incontri Patrick, inizia a ricordare, Raquel è la donna da lui tanto amata che tempo prima lo aveva lasciato. Scopre anche che Miguel è il padre di Raquel e Vince il fratello. Patrick fa di tutto per riconquistarla finché non ci riesce, i due torneranno insieme e rimarranno a vivere a Venezia."

Il quadro mai dipinto" è un libro sul perdersi e il ritrovarsi, sulla memoria e l'accettazione di se stessi, sull' importanza di restare fedeli al precetto più vero e necessario: " mai contro il cuore."

Mi ha insegnato che l'amore è l'unica cosa per cui vale la pena vivere, l'unica cosa che ci fa ritrovare nell'altro facendoci rimanere sempre noi stessi.

Mondadori

2015, 220 pp.

Euro 13,50

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Riservato ai lettori più esigenti.

Marcel Proust "Alla ricerca del tempo perduto" di Francesco Schipani, classe III A

 

«A confronto con l'opera di Proust, quasi tutti i romanzi che si conoscono sembrano dei semplici racconti. Alla ricerca del tempo perduto è una cronaca ricavata dal ricordo: nella quale la successione empirica del tempo è sostituita dal misterioso e spesso trascurato collegarsi degli avvenimenti, che il biografo dell'anima, guardando all'indietro e dentro di sé, sente come l'unica cosa vera».

Con queste parole Erich Auerbach, fondatore della moderna stilistica, elogia l’opera di Proust e la innalza a capolavoro della letteratura francese e mondiale. Il romanzo viene prodotto da un genio che, come Dante Shakespeare e Cervantes, segna dei punti fondamentali nella nostra cultura. Diversamente dagli altri scrittori, Marcel Proust si è risolto completamente nella sua unica e monumentale opera: La ricerca del tempo perduto. Questo romanzo, che tendeva a diventare smisurato con le sue 3700 pagine, ha invaso completamente la vita dell’autore tanto da ridurlo ad una semplice “mano che scrive”. La figura che Proust evoca nell’immaginario collettivo è di un uomo alienato, rinchiuso nella sua stanza, circondato da suffumigi e candele, che passava le sue intere giornate a scrivere. L’immagine che ci giunge è certo pittoresca ma ci dà l’idea di un uomo che è riuscito a trasformare se stesso in un’opera.

Molte sono state le edizioni critiche e molti sono stati gli autori che hanno provato a dare un’interpretazione personale all’opera; ma cosa voleva fare realmente l’autore? Perché il titolo “la ricerca del tempo perduto”? Qualcuno può pensare che leggendo, o peggio, scrivendo il tempo vada via per sempre. In realtà Proust supponeva il contrario: tramite la scrittura il tempo che credevamo perduto poteva essere recuperato. La maniera più semplice e superficiale di interpretarlo è pensare ad un romanzo in cui non succede sostanzialmente nulla, in parte vero, in cui Marcel, il protagonista, compie una cronaca dei suoi ricordi che si rincorrono uno dopo l’altro senza un apparente ordine cronologico. In realtà il significato è molto più profondo e interessante. Marcel nell’elencare questi confusi frammenti di memoria, tenta di salvare le cose da niente, come l’odore del caffè di sua nonna, il profumo della madre, il suono della pioggia… tutti quei piccolissimi e semplici ricordi che ognuno di noi porta dentro. La Recherche (ricerca), come si è soliti chiamare l’opera, non è nient’altro che un recupero di ciò che è immateriale, di ciò che è realmente importante. Recuperando tale immaterialità attraverso l’ausilio della scrittura l’autore non fa altro che fermare il tempo, lo recupera e lo redime fino a renderlo immortale.

Il fatto che stia parlando di questo romanzo è la prova di come Proust, morto quasi un secolo fa, sia in un certo senso ancora vivo.

La regione per cui considero questo libro uno dei pilastri della letteratura è il fatto che Proust, scrivendo una sorta di autobiografia, avvolta da preziosismi che richiamano lo stile del flusso di coscienza, riesce dall’individuale ad arrivare all’universale. Nonostante i ricordi che percepisce Proust sono inevitabilmente diversi da quelli di un normale lettore, più si va avanti più sembra che l’autore abbia la capacità di raccontare anche la nostra storia, la nostra infanzia. Il messaggio fondamentale dell’opera si può ritrovare proprio in questa universalità e nel suo ultimo capitolo, intitolato “il tempo ritrovato”, in cui scrive:

«Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso».

Per concludere, La ricerca del tempo perduto è un libro non adatto a tutti, la sintassi è essenzialmente basata sull’ipotassi (ricorso a periodi costituita da frasi che hanno un rapporto di subordinazione) che dà vita ad un ritmo lento, complesso e ricercato, in risposta alle esigenze riflessive e descrittive dell’autore. Questa quantità elevata di subordinate e incisi costituiscono la peculiarità di Marcel Proust che tende ad allungare la frase il più possibile per imitare il fluire del ricordo e della memoria. Le conseguenze sono inevitabili: la lettura è lenta, bisogna spesso fermarsi a riflettere e i vari intrecci che si sviluppano all’interno delle oltre 3000 pagine richiedono una memoria enciclopedica da parte del lettore. L’esperienza è consigliata ai lettori più esigenti e pazienti, a coloro che vogliono confrontarsi con un capolavoro o più semplicemente a chi cerca qualcosa di diverso.

 

Mondadori - collana I Meridiani

1994, 4 voll. 5132 pp.

220,00 Euro

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Bellissima novella che narra del rapporto tra un uomo in crisi e una lepre.

Arto Pasilinna "L'anno della lepre" di Salvatore Piro, classe IV B

Un'amicizia inedita, un viaggio fra i boschi e le steppe della Finlandia alla ricerca di se stessi; il giornalista Vatenen e la lepre vagano perché ogni luogo è degno di essere visto e ha una storia da raccontare. L'incontro con la lepre sulla strada, una fuga inaspettata da una vita non voluta, incontri con animali selvatici e la difficoltà ad abituarsi ad una vita così modesta da viandante, cimeli militari, senza tetto, un incendio, l'Unione sovietica e l'orso.

Un libro accompagnato sempre dal candore bianco della lepre e della neve capace di far viaggiare e pensare.

 

Iperborea

1994, 204 pp.

14,00 Euro

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Un grandissimo capolavoro della letteratura che bisogna aver letto almeno una volta nella vita.

Mary Shelley "Frankenstein" di Marco Mascaro, classe IV A

« Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e canoscenza". »

(Dante Alighieri. Inferno, canto XXVI, vv. 118-120)

Con queste esatte parole Ulisse esorta i suoi compagni a compiere un'impresa mai affrontata: oltrepassare lo Stretto di Gibilterra, le famose Colonne d'Ercole, il limite imposto alla conoscenza umana. Li convince facendo appello alla loro "semenza", "l'origine" dell'uomo che è per natura spinto alla conoscenza ma è, sempre per natura, debole e incapace di controllarsi. Per aver peccato di questa debolezza, il mare, "richiudendosi" sull'eroe, lo condanna alla morte e alle pene dell'Inferno. 

Un destino simile è quello affrontato dal Dottor Victor Frankenstein che sfida la natura cercando di creare, attraverso la scienza, un essere straordinario, più forte e resistente di un uomo comune. La sua Sete di Conoscenza e di potere lo porteranno, come un Moderno Prometeo, alla sua più grande sofferenza. Subito dopo aver infuso la vita nella sua creatura infatti, lo scienziato si pente del suo gesto:

Frankenstein quindi ripudia ed abbandona l'essere dall'orribile aspetto senza considerare il suo animo puro ed incontaminato.

Egli così vaga nella natura dei sublimi paesaggi alpini ed impara a riscaldarsi e a nutrirsi. Poi, spinto dalla solitudine e dalla curiosità, arriva in un paesino dove, spiando una famiglia di contadini, impara ad esprimersi a parole e viene a conoscenza della musica, della letteratura, di sentimenti come l'amore, l'affetto fraterno ma anche l'odio e la rabbia con cui, dopo essersi finalmente mostrato ai suoi "protettori", viene da essi scacciato. La creatura inizia quindi a rimpiangere la sua stessa natura:

« Ahimè! Perché l'uomo si vanta di una sensibilità superiore rispetto agli animali? [...] Se i nostri impulsi fossero limitati a mangiare, bere, desiderare, saremmo quasi liberi, ma noi siamo mossi da ogni vento che soffia e da una parola casuale o da una scena che quella parola ci trasmette »

Il suo animo assorbe la rabbia con cui viene trattato dagli uomini e la riversa a sua volta su di essi e sul suo stesso creatore: lo perseguita distruggendo tutto ciò che ha di caro poiché lui si rifiuta di aiutarlo e porre fine alla sua solitudine.

Dopo la Sete di Conoscenza infatti, è la Solitudine il secondo tema centrale del romanzo: già dalle prime pagine ci viene presentato un uomo, il capitano Robert Walton che in una serie di lettere indirizzate alla sorella Margareth, ci racconta della sua avventura nei Mari del Nord, circumnavigare il globo passando dal Polo, e della sua disperata ricerca di un amico: 

« Non siamo altro che creature informi, incomplete, se qualcuno, più saggio, migliore, più caro di noi stessi, come un amico dovrebbe essere, non ci aiuti a perfezionare le nostre deboli e imperfette nature. »

Proprio tra i ghiacciai, il capitano incontra il dottor Frankenstein, che gli racconta gli eventi che lo hanno portato fin lì, e trova in lui l'amico che tanto cercava.

Ascolta il suo racconto e viene a conoscenza della sofferenza dei due protagonisti del romanzo: lo Scienziato e la Creatura che causarono l'uno la Solitudine dell'altro...

Questo romanzo, nato da una sfida ad inventare un racconto dell'orrore ed ispirato ad un incubo dell'autrice, è l'opera più famosa di Mary Shelley che riversa in esso la sua passione per il Sublime, tipico delle opere inglesi del XIX secolo:

Sublimi sono le montagne, le cascate e i boschi:

« la vista del terribile e del maestoso in natura aveva sempre avuto l'effetto di elevare la mia mente, facendomi dimenticare le preoccupazioni passeggere della vita [...] 

Le stelle brillavano a intervalli, perché le nuvole vi passavano davanti; gli abeti scuri si alzavano davanti a me: era una scena di meravigliosa solennità che suscitò in me strani pensieri. »

 

Sublimi sono i paesaggi descritti dall'autrice anche attraverso i versi di William Wordsworth, poeta fondatore del Romanticismo e del naturalismo inglese:

« La cascata risonante

mi assillava come una passione: l’alto picco,

la montagna, e il bosco tetro e profondo,

i loro colori e le loro forme, erano per me

un desiderio; un sentimento e un amore,

che non aveva bisogno di un fascino remoto,

fornito dal pensiero, né di alcun interesse

che l’occhio non potesse captare. »

(Tintern Abbey. Lyrical Ballads, 1798)

Ma Sublime è soprattutto la Creatura, dalle parole ammalianti e dall'aspetto terrificante, dal ghigno malefico e dai nobili sentimenti, un essere che affascina ed insieme provoca terrore, un essere senza simili e senza legami, come Adamo, con però una sostanziale differenza: « egli era uscito dalle mani di Dio come una creatura perfetta, felice e prospera, protetta dalla cura speciale del suo Creatore » mentre il "Mostro" di Frankenstein è un essere infelice, disperato e solo.

 

Mondadori

2002, 336 pp.

9,00 Euro

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25 fantastici racconti sulla paura.

Stefano Benni "Cari mostri" di Benedetta Persico, classe II B

« La paura è una grande passione, se è vera deve essere smisurata e crescente. Di paura si deve morire. Il resto sono piccoli turbamenti, spaventi da salotto, schizzi di sangue da pulire con un fazzolettino. L'abisso non ha comodi gradini. »

 

La paura regna sovrana nell’ultima raccolta di racconti di Stefano Benni.

Un tuffo nell’angoscia, senza però abbandonare lo stile irriverente e umoristico che contraddistingue il modus operandi dello scrittore bolognese. La lettura è scorrevole: lo stile spazia dall’horror al grottesco  e, come sempre nei libri di Benni, con un fondo di verità che, pur essendo spesso amara e difficile da digerire, riesce a strappare un sorriso e a non appesantire la lettura.

 

I veri protagonisti sono i mostri: il mostrum, il prodigio inteso come segnale che qualcosa è in mutamento, che esso sia in senso buono e non. C’è allora da aver paura dei mostri? O è possibile renderceli “cari”? Ma chi è il mostro? Nostro nemico o nostro amico? O siamo forse noi stessi a crearci dei mostri? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che sorgono spontanei quando si entra nel campo del terrore.

 

Il terrore in 25 racconti, ognuno completamente diverso dall’altro, tenuti insieme, però, dal filo rosso dell’abisso. Un bazar della paura, insomma, in cui si può trovare davvero di tutto: una Madonna che ride di gusto al posto di piangere, un albero che uccide chiunque solo pensi di abbatterlo, un bizzarro animale domestico in grado di tirar fuori la parte peggiore di ogni suo padrone, angeli e demoni assetati di sangue e mummie vendicative. Queste sono solo alcune delle sfaccettature della paura prese in esame nel libro. In due racconti vengono omaggiati maestri del genere horror come Edgar Allan Poe e le atmosfere splatter alla Quentin Tarantino.

 

Mostri diversi, dunque, ma molto simili a noi. I mostri delle fiabe che un tempo ci venivano raccontate sono ora diventati parte integrante della nostra vita, sebbene in modo diverso: ed è così che la strega cattiva diventa una donna che rapisce bambini con l’intento di venderli a pedofili; è così che temiamo l’assenza di qualsiasi collegamento tecnologico come se ci mancasse l’aria; è così che siamo terrorizzati all’idea che un giorno il pianeta terra possa essere “comprato” da extra-terrestri come discarica di spazzatura spaziale; è così che restiamo atterriti al solo pensiero che anche le fabbriche di armi un giorno potrebbero fallire perché non ci saranno più uomini, tutti morti a causa delle guerre.

 

Ma questo libro non vuole di certo incupire né tantomeno far passare la notte in bianco ai lettori, questo libro vuole fare riflettere ciascuno sulla paura e sui mostri. The dark side in ognuno di noi, per quanto combattuto, non verrà mai totalmente soppresso, perciò, l’unico modo per “difendere” noi stessi dai mostri è accettare la loro presenza e invitarli a trasferirsi nel letto a fianco piuttosto che permettergli di alloggiare sotto al nostro.

 

Feltrinelli

2015, 256 pp.

17,00 Euro

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Un romanzo di fantascienza avvincente, si legge d'un fiato.

Suzanne Collins "The Hunger games" di Anna Lechiara, II C

 

Il primo romanzo di una trilogia di grande successo, incentrata sul coraggio e ambientato in un futuro post apocalittico.

In un mondo lontano, la popolazione è divisa in 12 distretti. Il distretto meno considerato è il distretto 12, quello dei minatori, qui vivono Katniss e la sua famiglia. Capitol City è al centro di questo mondo, qui risiede il potere, il controllo su tutti i distretti.

In questo strano mondo, hanno un'usanza a dir poco inquietante. Ogni anno un ragazzo o ragazza tra i 15 e i 18 anni, per ogni distretto viene sorteggiato per partecipare agli Hunger games; si tratta di un gioco in cui solo un partecipante dovrà sopravvivere in una sfida all'ultimo uomo in una specie di giungla piena di ostacoli e insidie pericolosissime. Il gioco serve a dimostrare la forza e il potere di Capitol City.

La ragazza sorteggiata per il distretto 12 è la sorella minore di Katniss. Quest'ultima, decisa a non dire addio alla sua adorata sorellina, si dichiara volontaria e decisa a partire al suo posto, da qui inizia la sua avventura.

È un romanzo di fantascienza profondamente intriso di mitologia greco-romana (si pensi al sacrificio dei giovani ateniesi in offerta al Minotauro. Una storia dove a vincere sono il coraggio e la volontà di non rinunciare ai valori più importanti della vita: la famiglia, l'amicizia, l'amore.

Io lo consiglio sia agli adolescenti sia agli adulti, la scrittura è scorrevole e la trama avvincente, si legge d'un fiato.

 

Mondadori

2013, 370 pp.

13,00 Euro

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L'Odissea raccontata ai lettori di oggi.

Luigi Malerba "Itaca per sempre" di Anastasia Bonofiglio, ex borrelliana e studentessa di Lettere Classiche

Il ritorno di Ulisse è l’impalcatura di fondo su cui poggia uno dei più rinomati romanzi di Luigi Malerba “Itaca per sempre”. Una trama disadorna, lontana dalle mille peripezie che appartengono all’Ulisse omerico. A distanza di venti anni trascorsi lontani da Itaca e dai propri affetti a causa dello scontro tra Danai e Teucri, la guerra di Troia, ecco che Malerba inscena il tanto ambito approdo del re Odisseo nella sua patria, la rivelazione ai cari, l’agnitio finale con la sposa Penelope e la conseguente sconfitta dei Proci, pretendenti della regina che già spadroneggiano superbi nel palazzo reale approfittando dell’assenza del loro re.

Pur avendo scelto di basare la narrazione su un topos della letteratura occidentale qual è quello di Ulisse e dell’Odissea, l’autore sovverte tutti i luoghi comuni che attribuiamo tradizionalmente al poema omerico e scardina le canoniche qualità di quello che è ritenuto il primo eroe moderno se non di tutte le letterature, almeno di quella occidentale. Lo scopo immediato di Malerba è di allontanarsi dall’impianto narrativo che è l’essenza stessa dell’Odissea e di porre l’attenzione sulla psiche dei personaggi, troppo spesso passata in oblio, soppiantata dall’interesse per l’avventura e per la curiositas di Ulisse che diviene bisogno di conoscenza di tutti gli uomini. Queste sono le ragioni per cui “Itaca per sempre” è un romanzo di grande verità psicologica che rifiuta gli orpelli narrativi e trova la sua forza motrice nell’animo dei personaggi. In particolare, l’autore scandaglia specularmente e con uno schema a dittico gli animi dei due che incarnano l’essenza stessa del nostos: Ulisse e Penelope.

Quello di Ulisse è il nostos di chi parte, di chi erra spinto da forze che vanno oltre la sua ragione e che alla fine ritorna in un luogo cambiato, per questo nuovo ed ignoto. Quello di Penelope è il nostos di chi resta nell’attesa e nella speranza di un ritorno. Senza alcun dubbio la rivoluzione e l’innovazione del romanzo rispetto al tema classico è da circoscrivere proprio nello spostare l’asse del protagonista da Ulisse a Penelope.

È infatti quest’ultima su cui si concentra l’attenzione dell’autore, tutto il romanzo verte sul risentimento di Penelope scaturito dalla mancanza repentina di rivelazione del suo sposo, una volta sopraggiunto nella terra patria, che pur lei ha riconosciuto. Inizia così un lavoro di millesimale sottigliezza che lo scrittore rivolge ad un animo femminile passando attraverso i suoi sotterfugi e le sue inquietudini. Si invertono i ruoli, la mite e paziente Penelope della tradizione muta in una donna astuta che ha imparato a destreggiarsi alla maniera dell’ingegnoso Ulisse operando e ordendo piani. Penelope ha bisogno di vendicare il suo risentimento verso uno sposo che dopo venti anni di assenza a lei non si è rivelato, questo la spinge a mostrare indifferenza e a macchinare le file del destino con estrema freddezza. Lo stesso Ulisse soccombe nella sua tela ed egli che fino ad allora era stato il più astuto tra gli uomini, dinnanzi alla sua donna diventa il più ingenuo.

La fedele sposa riesce a mettere in dubbio la sua identità, a creare incertezza là dove vi era sempre stata certezza e altezzosità. Dunque, “Itaca per sempre” è un romanzo che attua una metamorfosi nel più amato e replicato eroe di sempre e che offre un riscatto ad un personaggio di secondo piano in Omero, Penelope. Insomma qui, Penelope non è più Penelope ed Ulisse non è più Ulisse ma il cambiamento, l’avere nuovi orizzonti, l’uscire fuori da sé per forse poi non ritornarci, o forse sì, sono i costi da pagare per chi parte e per chi resta nell’attesa del ritorno. Malerba vuole incarnare la duplice faccia del viaggio, un viaggio che implica logorio interiore e per questo novità e cambiamento, e quello di “Itaca per sempre” è un viaggio attraverso i sentimenti umani, sentimenti altalenanti che dimostrano come il nostos crea vulnerabilità negli uomini, come la sofferenza di un lungo viaggio come quello di Ulisse e Penelope faccia approdare a nuove prospettive, d’altronde come non ricordare una delle massime sapienziali del mondo greco: pathei mathos, imparare attraverso la sofferenza.

 

Mondadori

1998

12,00 Euro

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Le vicende personali e giudiziarie di Panagulis in un libro coinvolgente ed emozionante.

Oriana Fallaci "Un uomo" di Eleonora Parise, classe I B

Difficile pensare a quanta sofferenza possa far parte della vita dell’uomo, in special modo se questa si nasconde all’interno di una maschera, non una maschera qualunque, bensì quella di uno degli eroi storici più conosciuti al mondo. Sto parlando di Alekos Panagulis, leader storico della resistenza greca. La sua incredibile storia, arricchita di particolari inediti e intimi, ci viene narrata dalla scrittrice italiana Oriana Fallaci, sua compagna di vita fino al 1° maggio del 1976 (giorno nel quale Panagulis venne assassinato), nel libro “Un uomo”.   

Il romanzo si apre nel momento in cui il giovane rivoluzionario greco decide di porre fine alla vita del terribile tiranno Georgios Papadopoulos. Purtroppo l’attentato tanto meditato fallisce e Panagulis viene arrestato e condannato a morte. Durante la sua permanenza in prigione la sentenza venne ripetutamente rinviata e alla fine non venne mai eseguita perché la storia del grande Alekos, nel frattempo, fece il giro del mondo e appassionò la gente di ogni dove, tanto da compromettere l’immagine del regime greco qualora fosse stato effettivamente ucciso. Non mancarono le torture atroci per  Panagulis che restò fedele ai suoi ideali e rifiutò continuamente di piegarsi a collaborare con la dittatura.

Nel suo ultimo anno di prigionia le condizioni vitali furono pressappoco pari a zero, in quanto fu trasferito in una cella costruita appositamente per lui, la quale prese il nome di “tomba”, appunto per le sue lugubri e soffocanti piccole dimensioni. Dopo anni di maltrattamenti e prigionia venne finalmente graziato da una fasulla democrazia instauratasi ad Atene. Pochi giorni dopo una giornalista si recò a casa sua per un’intervista, e da quel momento restò al suo fianco fino al giorno della sua morte. La giornalista era naturalmente Oriana Fallaci, la quale si innamora perdutamente dell’eroe greco e decide di sostenerlo nella sua lotta alla tirannia, nonostante spesso diventasse pesante e pericoloso restare con lui. Numerose erano le partenze e altrettanto i ritorni. Tante le notti in cui la povera donna rimaneva da sola nel letto che condivideva con Alekos, il quale spariva nel nulla, a volte anche per molto tempo. Nel libro si evince chiaramente il sentimento puro e sincero per Panagulis da parte della Fallaci, la quale lo aspettava a braccia aperte ogni qualvolta veniva inghiottito da un improvviso vuoto. Nel suo ultimo periodo di vita, Panagulis era diventato completamente pazzo. Era convinto di essere sempre spiato, seguito. Non viveva più bene ormai e veniva considerato dalla sua compagna un folle. Il folle però non aveva torto. Le sue sensazioni si rivelarono esatte poco a poco, fino alla fatidica giornata del 1° maggio del 1976. Uscì per comprare le sigarette, racconta la Fallaci, ma due sicari, a bordo di due diverse auto, lo investirono e lo uccisero. I suoi compatrioti non lo dimenticarono e al suo funerale innalzarono un coro splendido di voci che urlavano “Zi! zi! zi!”, cioè “vive! vive! vive!”, come segno di continua protesta elevata in suo onore.                                                                     Il racconto di questa tragica e, al contempo, coraggiosa storia ci invita a riflettere su quanto sia bello poter vivere una vita libera, in una democrazia, all’insegna dell’onestà e della giustizia, a come sia orribile e opprimente la dittatura, che costringe ad una misera e inutile vita nella quale si passa inosservati se non si è pronti a cambiare le cose. Insegna a lottare per ciò che è giusto, per il bene comune, e soprattutto a non rassegnarsi mai, anche perché, come diceva lo stesso Panagulis “Chi si rassegna non vive: sopravvive”.  

 

BUR

2014, 645 pp.

13,00 Euro

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Una lunga riflessione sulla vita, sul dolore, sulla libertà.

Oriana Fallaci "Lettera a un bambino mai nato" di Giusy Bilotta, classe I A

C'è una linea sottile tra amore e odio e su di essa barcolliamo giorno per giorno. Ne sono causa da una parte il dolore e la sofferenza e dall'altra la gioia e la spensieratezza. Perché la vita è anche questo. Scemo chi pensa che tutto possa essere rose e fiori. No, a volte è molto più difficile di quanto si possa credere. Non è tanto l'uomo a stare in bilico, per lui la vita è molto più semplice. Viviamo in un'epoca moderna, eppure la donna irrazionalmente si trova in uno stato di subordinazione rispetto all'uomo.  Viene ricordata perché da essa è partito il peccato universale, per indicare tutto il genere umano utilizziamo sempre la parola uomo, mai donna, sempre bimbo, mai bimba. Invece la donna è una creatura molto più saggia, più sensibile, più matura e più forte. Perché la donna prima di tutto è mamma, una donna incinta sono due mamme. Mamma per se stessa e mamma per il bimbo. E a lei quindi un'altro dilemma. Dare la vita o negarla? Rinunciare ad una già in corso per un'altra che ancora non lo è? Oriana Fallaci nel suo libro "Lettera a un bambino mai nato"  decide di donare la vita  ma senza essere condizionata dal bambino, accettando quindi la maternità pur sentendosi da essa derubata.  Adesso a lui la scelta se accingersi alla vita o restare nel silenzio. Intanto lei gli spiega le intemperie della vita, e la riassume con le sue sofferenze e le sue gioie e senza accorgersene si lega a lui e inconsapevolmente lo ama. Lui decide, rinuncia alla vita forse perché spaventato o forse non lo fa  per se stesso, ma per amore della donna che lo porta in grembo. La Fallaci se ne accorge subito, come una luce che si spegne, se ne va. Lei questo non lo accetta, rifiuta di togliere il suo bambino dal ventre e quando finalmente decide di farlo è troppo tardi.  Allora si arriva alla conclusione:  è sempre la donna a pagare.

 

BUR 

2009, 131 pp.

10,00 Euro

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In una Sicilia diventata un'immensa rovina, una tredicenne cocciuta e coraggiosa parte alla ricerca del fratellino rapito.

Niccolò Ammaniti "Anna" di Enrica Nicolazzi, classe I B

Nei momenti difficili, quando tutto ciò che ci sta attorno sembra non avere più senso, quando il mondo sembra aver ormai smesso di girare, è allora che il coraggio contenuto in ogni uomo viene sprigionato all’esterno e la forza vince le debolezze, la paure, il dolore. In situazioni drammatiche, di terrore, di tragedia, ogni passo che viene mosso è un passo verso la salvezza.

Nella Sicilia dell’anno 2020, devastata dalla fame e della malattia, vive Anna, una ragazza di appena nove anni, che nonostante la sua tenera età mostra di essere molto testarda e determinata nella sue scelte. Il destino vorrà che ella, in piena età adolescenziale, rimanga orfana con un fratello più piccolo da crescere. “La Rossa”, il virus ampiamente diffuso nella Sicilia di quel tempo non risparmierà, infatti, quasi nessuno, donne e uomini, senza saperne il perché soltanto i bambini ne rimarranno immuni. Quella di Anna è una vera e propria lotta per la sopravvivenza, in un Paese dove il profumo degli aranceti siculi lascia il posto a una distesa di morti in putrefazione. Anna ha un solo compito, quello di difendere e proteggere il fratellino di appena quattro anni, tenendo con sé soltanto un libro, il cosiddetto “Libro delle cose importanti” che la mamma Maria Grazia le lascia prima che il virus la porti via. In questo libro Anna riesce a trovare tutti i consigli utili per affrontare la vita quotidiana, ma con il passare del tempo la situazione peggiorerà ed è così che Anna sarà costretta a prendere in mano le redini di quella casa nel cosiddetto “podere del gelso” e affrontare con tanto coraggio quella vita che per lei è tutt’altro che facile. La mamma nel suo libro non fa altro che ripeterle di prendersi cura del povero fratello prima che la malattia avrà portato via anche lei, ma il suo sogno è un altro, quello di scappare via dalla Sicilia, dalla fame dalla morte per arrivare in Calabria dove sogna di poter condurre una vita migliore. Durante il suo viaggio verso il “Continente” Anna sarà affiancata da un suo coetaneo di nome Pietro e un cane, che non li abbandonerà mai. Nonostante le difficoltà incontrate durante il viaggio, che può essere considerato una vera “Odissea”, Anna decide di non mollare perché secondo la sua filosofa: “Vivere è andare avanti senza guardarsi indietro” e, accompagnata dal suo coraggio e dalla sua voglia di vivere dignitosamente, sognando di trovare una famiglia pronta ad accoglierli, giungerà in Calabria.

Una vicenda che sta a metà tra il dramma e l’invenzione vede come protagonista il personaggio di Anna, così piccola ma tanto grande allo stesso tempo, forse così grande da non poter quasi essere reale. Tuttavia, è nel coraggio di questa piccola bambina di nove anni in cui, probabilmente, sta racchiuso il messaggio dell’autore.

In mezzo a tanto dolore, la vita vuole essere cercata, attesa, desiderata, amata. Anna combatte per una vita vera, migliore, combatte per sorridere, combatte per il suo futuro.

Quella raccontata da Niccolò Ammaniti è una storia drammatica, che racconta un incubo senza via d’uscita ma d’altra parte il suo è anche un romanzo di formazione che ci porta a riflettere sulle scelte e conseguenze del nostro futuro con la consapevolezza che “La vita non ci appartiene, ci attraversa”.

 

Einaudi

2015, pp. 274

19,00 Euro

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Un giallo di fantasia in cui emerge la grande capacità di intersecare fatti realmente avvenuti con l'invenzione narrativa.

Dan Brown "Il Codice Da Vinci" di Mery Bilotta, classe I A

Trovarsi in situazioni pericolose, nel posto e nel momento sbagliato, inadatto, ritrovandosi a giocare le proprie carte, per riuscire ad andare avanti, dove anche uno e un solo passo, può farti sprofondare e non farti risalire più a galla. Sentire il cuore battere forte, e il sangue pulsare nelle vene, percepire l'odore di vendetta della persona che ti è vicino. C'è una sottile divisione tra l'essere in vita e l'essere volato via, come una goccia di rugiada che cade lungo la strada umida e bagnata, come una piccola bollicina che si disperde nell'aria. Sentirsi così rimpicciolire e diventare piccoli, ma così piccoli da non riuscire più a fare un passo. Il Codice Da Vinci Questo  riesce a non fare staccare una sola volta gli occhi, parola dopo parola, pagina dopo pagina, si divora in pochissimi giorni. Mentre le pagine scorrono, nella mente si accavallano un flusso di pensieri, tante domande, tante ipotesi. Le descrizioni sono davvero minuziose, anche di un futile oggetto, ogni personaggio prende forma nella mente, ci si immedesima in ognuno di loro, vivendo tutte le loro esperienze sia positive che negative.

Dan Brown mi ha sempre colpito con il suo modo di scrivere, le tematiche che tratta. Ho letto numerosi suoi libri, ma il Codice Da Vinci, un enigmatico ed eclatante capolavoro, mi ha colpito più di tutti gli altri.

In una tranquilla notte parigina, che poteva apparire normale come tutte le altre, nella Galleria del Louvre, l'anziano curatore Saunière viene ferito a morte da un misterioso personaggio, con le sue ultime forze scrive alcuni numeri, alcune parole e un nome: Robert Langdon. Sarà proprio lui, un celebre studioso di simbologia, a capire dove volesse arrivare il collega, con quel messaggio, costringendolo a giocare a distanza di secoli, mettendo a rischio la propria vita, entrando in qualcosa più grande di lui, contro il genio di Leonardo Da Vinci. Questo straordinario thriller, tradotto in oltre quaranta lingue e venduto in settanta milioni di copie, ci spiega chi era realmente Leonardo. Sono convinta che ogni libro può arricchirti, e che ci aiuta a guardare verso altri orizzonti, non soffermandoci con lo sguardo in un unico e solo posto. Ma questo, un sorprendente capolavoro di Dan Brown, riesce a calarti nella storia e a non farti più uscire. 

 

Mondadori

2003, 523 pp.

18,60 Euro

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Sentirsi soli in un mondo troppo grande e inadeguato, un po' sbagliati o mal riusciti, sentirsi dispersi, non riuscire a perdonarsi.

Paolo Giordano "La solitudine dei numeri primi" di Vanessa Iuliano, classe I A

Sentirsi soli in un mondo troppo grande  e inadeguato, sentirsi diversi dagli altri, un po' sbagliati o mal riusciti, sentirsi dispersi, per poi ritrovarsi e completarsi, vivere sofferenze inutili, dovute a piccoli sbagli mai perdonati a se stessi o ad altri. Questo il messaggio  del romanzo "La solitudine dei numeri primi".

Due numeri primi gemelli, 2.760.889.966.649  e 2.760.889.966.651 isolati, lontani e solitari, innamorati ma incapaci di esprimere l'uno l'altro i propri sentimenti. Mattia e Alice, vicinissimi ma ostacolati da un numero sono segnati da vicende tanto, o forse troppo, dolorose accadute nella loro infanzia. Tali eventi li turberanno per tutta l'età adolescenziale e adulta.

Alice, una bambina di sette anni è costretta controvoglia dal padre a prendere parte ad un corso di sci e un giorno rimane ferita, dopo essersi allontanata dal gruppo. Questo suo comportamento le costerà l'uso della gamba per il resto dei suoi giorni.

Mattia è un bambino che vive la propria infanzia in solitudine, a causa di sua sorella  gemella, Michela, che è affetta fin dalla nascita da un ritardo mentale. Per la prima volta i due gemelli vengono invitati ad una festa di compleanno, ma il ragazzo prima di raggiungere la casa del coetaneo lascia la sorella in un parco con l'intenzione di riprenderla al ritorno. Michela però scompare, probabilmente annega in un fiumiciattolo lì vicino e nonostante le innumerevoli ricerche il corpo della ragazza non verrà mai trovato. Mattia non perdonerà mai a se stesso il grande errore.

I due protagonisti, dopo essersi conosciuti, passeranno periodi di distacco per poi comprendere che l'uno ha estremo bisogno dell'altro. Il finale del libro, a sorpresa dalle aspettative dei lettori, non avrà la conclusione sperata, in quanto i protagonisti  dopo l'ultimo bacio si separeranno ancora. Inizialmente il titolo del libro era "Dentro e fuori dall'acqua" cambiato dalla case editrice Mondadori in "La solitudine dei numeri primi". Pubblicato nel 2008 questo romanzo di formazione è ambientato a Torino tra gli anni ottanta e il 2000. Torino non è espressamente citata, ma vengono nominati nel libro la Basilica di Superga, l'ospedale Maria Ausiliatrice, la Chiesa della Gran Madre e il Fraitevè. La solitudine dei numeri primi vince inoltre il premio letterario Merck Serono. Lo scrittore dimostra un grande controllo della lingua, nonostante i suoi 28 anni, impiegando un registro medio e facendo frequente uso di discorsi diretti. Il libro esercita una grande pressione nei lettori, che cercano di immedesimarsi nei personaggi e  sperano continuamente nella ripresa dei protagonisti che, ahimè, continuano a macerarsi nel proprio dolore.  Il Romanzo, premio Strega e premio Campiello opera prima nel 2008,  è stato, nel 2010, adattato a film e diretto da Saverio Costanzo e lo stesso Paolo Giordano, autore del libro.

 

Mondadori

2008, 304 pp.

18,00 Euro

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Il bicchiere può essere mezzo pieno o mezzo vuoto. Basta guardarlo con gli occhi giusti.

Nicola Fiorita - Giancarlo Rafele "Il bicchiere mezzo pieno" di Lara Nocito, docente di Lettere, latino e greco.

Mi ha abbracciata questo libro tra riferimenti colti e vita vissuta. Un sussulto ad ogni pagina, la speranza che ciascuno di noi può esistere, se sceglie di farlo. Inseguire sogni, questo fanno gli autori, in una scoperta itinerante che esplora questa terra magica, mentre disvela certezze nell’incertezza.

Esistenze in riscatto in una terra che ti soffoca e ti concede respiri: la Calabria. Già la dedica è un inno alla vita, alla possibilità di essere in grembi materni che ti regalano respiri.

L’ironico incipit, mentre scopri che da sposa non hai avuto in dote una “caddara” che, forse, la vita poteva spingerla in un’altra direzione: quella del sapore (che cibo e amore sono le uniche cose per cui vale la pena di vivere. Da Repaci a Pennac scopri che proprio non tolleri che una terra sorprendente e segreta come questa possa diventare un Club Mediterranèe tutto l’anno. Scopri la forza di chi  ha creduto in qualcosa e si è impegnato per vedere realizzare un sogno e allora, solo allora, capisci che il tuo posto fisso è la tua prigione borghese.

Una biografia collettiva è quella della gente di Calabria che deve salvare la bellezza che le è stata data in dono e che si trova tra la “fagiola pallottina” e le “arance tardive di Trebisacce” che profumano la mia infanzia. Un libro in cui il rimprovero, piano piano, decanta ed elargisce motivi infiniti di riscatto vivifico.

E senza avere “ciunchi li vrazza” si può scegliere di essere felici.

Mi impressiona la Medea di Nicola Fiorita e Giancarlo Rafele, che paga il suo “scontro di civiltà” per vite infinite, che l’amore già l’ha tradita. L’amore.

 

Sabbiarossa

2015, 152 pp.

14,00 Euro

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Finalmente tutta la verità sul massacro di un grande intellettuale del '900.

Simona Zecchi "Pasolini:  Massacro di un poeta" di Federica Versea, classe V B

"Sono stanco di essere così intoccabilmente eccezione, ex lege: va bene, la mia libertà l’ho trovata so qual è e dov’è; lo so, si può dire, dall’età di quindici anni, ma anche prima… Nello sviluppo del mio individuo, della diversità, sono stato precocissimo; e non mi è successo, come a Gide, di gridare d’un tratto “Sono diverso dagli altri” con angosce inaspettate; io l’ho sempre saputo, Io ho sofferto il soffribile, non ho mai accettato il mio peccato, non sono venuto mai a patti con la mia natura e non mi ci sono mai abituato. Io ero nato per essere sereno, equilibrato e naturale: la mia omosessualità era in più, era fuori,non c'entrava con me. Me la sono sempre vista accanto come un nemico, non me la sono mai sentita dentro”.

Queste le parole con cui Pier Paolo Pasolini descrive la sua forte, radicata, ineffabile scissione fra sete d'amore o meglio di amori e senso di colpa nei confronti della madre e della sua stessa natura, che non gli avrebbe mai potuto permettere di diventare padre. 

Coesistenza di bene e male, giusto e sbagliato, sentito o dovuto, apparenza e realtà, scandalo e onore, amore e dovere. 

Causa, essenza, volere, spinta instancabile   verso l'eccesso, verso l'altrove, verso ciò che da tutti era visto come un grande errore. Dai suoi testi parole fitte di echi, rimandi, allusioni alla sua vita privata inizialmente celata e trasfigurata, ai suoi impulsi, alle sue costanti scissioni fra poeta cittadino e animo libero. Troviamo così un continuo alternarsi di detto e non detto, di autocensura e emergenza del rimosso, un'attenzione a non far trapelare il proprio segreto e nello stesso tempo la voglia di gridarlo al mondo. 

Parole di una forza inaudita, di una violenza inespressa ma fortemente vissuta, denunce, proteste, critiche al perbenismo di facciata di chi si auto elegge casto e censore, feroce ossessione contro chi lo considera malato d'amore, macchiato da orrore. 

"Un rapporto omosessuale non è il Male, è un rapporto sessuale come un altro. Dov'è, non dico la tolleranza, ma l'intelligenza e la cultura se non si capisce questo? Esso non lascia nè marchi indelebili, nè macchie che rendono intoccabili, nè deformazioni razzistiche. Lascia un uomo perfettamente quello che era". 

Scrisse, lottó, visse, sbagliò. Cultura, poesia, arte e cinematografia, tutti campi in cui Pasolini attivamente si cimentò, figura dunque alquanto scomoda, intellettuale di troppo, pensiero e lingua da bandire, per l'opinione pubblica e il potere da zittire e dimenticare. La memoria di questo poeta, di inafferrabili contraddizioni e imprescindibili esternazioni, è per questo motivo avvolta da un alone di mistero, da un velo che offusca, confonde, convince e poi distoglie, pagò con la vita, pagò con la morte. Scontò le sue colpe, le sue libertà concesse, in un massacro tribale, in una morte violenta, precisa, pianificata determinata da una ferocia inaudita e tuttora schermata. Su questa morte ha voluto indagare Simona Zecchi dando vita ad una vera e propria inchiesta in cui si riparte proprio da quella sciagurata notte e, con l’ausilio di prove fotografiche mai emerse sinora, di evidenze schiaccianti, di documenti inediti, interviste e testimonianze esclusive, fa tabula rasa dei moventi ufficiali e dele piste finora accreditati dimostrando come l’«omicidio a sfondo sessuale» sia molto probabilmente solo un pretesto per nascondere la verità e plagiare l'opinione pubblica. Svela l'importanza del «misterioso» Appunto 21 di Petrolio, interroga i testimoni che nessuno ha mai voluto veramente ascoltare, riconosce la probabile matrice fascista dell’agguato, la direzione dell’intelligence nostrana, il ruolo depistante dell’enigmatico Giuseppe Pelosi, i tentativi di alcuni giornali, sempre ben informati, troppo informati, da trasformare Pasolini in imputato nello stesso processo che avrebbe dovuto stabilire l’identità dei suoi carnefici. E' un testo, un libro, un'ispirazione ma “Massacro di un poeta” è prima di tutto un'inchiesta, un momento di verità, di sola nuda e cruda verità.

Di Pier Paolo Pasolini si può parlare, discutere, provare a ipotizzare ma senza permettersi di giudicare, egli visse nel solo modo che la natura gli donò, si può condividere o rifiutare, ma non di certo censurare, tantomeno dimenticare.

 

Ponte alle Grazie

2015, 320 pp.

13,60 Euro

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Un romanzo corale che racconta di lotte per la giustizia, per il desiderio di esistere, per affrancarsi.

Lou Palanca "Ti ho vista che ridevi" di Lara Nocito, Docente di Lettere, latino e greco.

Ho ricevuto in dono un libro, non un libro qualunque, ma un'anima narrante. 

Racconta vite accadute, in terre bugiarde, che uccidono pure le illusioni e ti lanciano lontano, quasi a volerti restituire l'occasione che ti hanno rubato. Parla di lotte per la giustizia, per il desiderio di esistere, di affrancarsi. É lento, all'inizio, sembra indugiare per timore di verità altre che chiameranno inganno intere esistenze, e non per offesa, ma per difendersi...dagli altri, da sè, da pregiudizi che sembra inutile combattere, ma che dopo tornano, dopo anni, e ti chiedono il conto del compromesso. 

Leggendo capisci come l'arcaico abbia difficoltà a cedere il passo al moderno, capisci come si muore mille volte nelle giornate lunghe di certi luoghi che ti ingannano, mentre ti accolgono. Capisci che "ogni inizio è un ibrido", che i silenzi sembrano mostrare gente che non pensa, magari per paura di scoprire cose che teme. Poi capisci che tutto ciò che si spezza, ti offre un'altra possibilità...quella di arrampicarti ad un'altra vita, l'unica possibile. Capisci di amori discreti che ammorbidiscono le emozioni e poi, quando impari a riconoscerlo come AMORE, al diavolo i compromessi con te stesso. Scopri che significa restare senza lacrime né Dio. E pensi alle imboscate del destino. Pensi alle nuove signorie e alle nuove ingiustizie che in terra di Calabria vincono ancora. Capisci che ognuno dovrebbe trovare la forza di sbaraccare quel filo spinato che lo divide dalla vita, quella vera.

Dirsi con il corpo ciò che ci si promette con gli occhi...ed imparare a capire cosa significa.

E poi con un carico di disperazione avvolto in un sudario di terrore, capisci cosa significa davvero VIVERE. 

Un libro di un'intensità straniante, in cui si colgono i diversi stili scrittori che lo rendono umano oltre l'umanità perduta che narrano. Un'umanità che si ritrova in sè, salvifica.

Ai miei amici, ai colleghi consiglio questa lettura e soprattutto ai miei alunni per i quali l'amore é totalizzante e questo libro racconta anche questo: amori strappati tra idee esistenziali che costruiscono un'altra vita per te. Con la rinuncia obbligata che si fa destino. 

 

Rubbettino

2015

14,00 Euro

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Un affresco della società capitalista e un appello a trovare un modo per distruggerla.

Chuk Palahniuk "Fight club" di Benedetta Persico, classe II B

“Solo dopo il disastro si può risorgere. [...] È solo dopo che hai perso tutto che sei libero di fare qualunque cosa”, è proprio il baratro il punto focale intorno al quale ruota l’intera vicenda del primo romanzo dello scrittore statunitense Chuck Palahniuk. L’anonimo narratore interno nonché protagonista della vicenda conduce una vita all’insegna della più assoluta banalità: schiavo del consumismo e dell’insonnia, stordito dal jet-lag è il prototipo dello yuppie, frutto marcio della società moderna. L’unico modo per smorzare l’estenuante routine e riuscire a dormire è fingersi malato per partecipare a gruppi di sostegno per malati terminali. È proprio qui che incontra Marla: anche lei finge per prendere parte ai gruppi di ascolto, pur di avere un pasto gratis; il protagonista senza nome, invece, frequenta i malati di cancro o di parassiti del cervello solo per piangere, per lavare via tutto ciò che di sbagliato ha la sua vita. Ma la sua esistenza subisce un radicale cambiamento durante un viaggio di lavoro, grazie all’incontro con uno strano venditore e produttore di sapone, Tyler Durden. Tyler ha tutto quello che gli manca: è carismatico, coraggioso, predica e, a differenza sua, mette in atto la distruzione della vacua cultura occidentale. Tra il protagonista e Tyler si instaura un bizzarro quanto stretto legame e in seguito a un incidente il protagonista si ritrova a vivere insieme a lui. Tyler lo include nella sua folle idea di creare circoli clandestini di incontri di lotta che hanno come unico scopo l’autodistruzione intesa come sinonimo di automiglioramento: i fight club.  

Chi entra in un fight club combatte contro ciò che odia, il fight club è il cuscinetto anti-stress, la valvola di sfogo di tutti i frustrati dalla “american way of life”. E mentre il fenomeno fight club spopola e ne se ne creano di nuovi ogni giorno, tutti quelli che combattono nei fight club, devoti a Tyler Durden, verranno schierati contro la civiltà come un vero e proprio esercito in grado solo di creare confusione e destreggiarsi con atti di violenza gratuita. Il protagonista però perde il controllo di quello che fa Tyler con il suo esercito di “scimmie spaziali”, fin quando non si rende conto di essere egli stesso Tyler Durden. Il protagonista soffre, infatti, del disturbo dissociativo della personalità e mentre cerca di fermare Tyler, in realtà l’unica possibilità per arrestare il processo di demolizione della civiltà alle sue basi è fermare proprio se stesso. Il libro è contraddistinto da uno stile crudo, nichilistico, ispirato dalla violenza, dalla più assoluta anarchia, da una “Generazione X” alla ricerca di un modo per “risorgere” dalle ceneri. Considerato il capolavoro di Palahniuk, non è di certo una lettura lineare e pulita. Lo stile spazia tra il noir metropolitano e la satira. Il modo in cui la storia ci viene presentata non fa che assecondare l’ingarbugliato intreccio che caratterizza l’intera trama: il romanzo comincia dalla fine della storia  e i restanti capitoli non sono altro che un enorme flashback con cui spiegare gli avvenimenti che hanno portato alla “scena” iniziale di un uomo, l’anonimo protagonista, con una pistola puntata in bocca. I flashback, le frasi sconnesse che rispecchiano i pensieri del protagonista e i ritornelli, ovvero le frasi che vengono riprese in punti diversi del romanzo per ribadire concetti importanti secondo il narratore, la rendono una lettura intricata, ma altrettanto interessante. Palahniuk sovverte i canoni per ricreare nel lettore quel senso di straniamento, lo stesso del protagonista, dovuto al disturbo dissociativo di personalità, all’insonnia e alla depressione. Le tematiche trattate spaziano dai disturbi mentali, in grado di alterare la percezione reale del mondo che ci circonda, alla disperazione dei malati terminali, passando per la violenza gratuita di una società in cui ormai “le cose che una volta possedevi, ora possiedono te. (cap. 5, p. 37)”. Dopo la sua prima pubblicazione diventa un vero e proprio romanzo di culto in grado di ispirare anche la realizzazione del film omonimo, tra i più apprezzati degli ultimi vent’anni, diretto da David Fincher con Brad Pitt ed Edward Norton.

 

Mondadori

2004, 223 pp.

11,00 Euro

 

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Una nuova saga familiare ambientata in Calabria.

Carmine Abate "La felicità dell'attesa" di Benedetta Loria, classe IV A

L'importanza del ritorno al passato

I ricordi sono l'elemento chiave di questo romanzo che, impilati come tasselli sbiaditi, costruiscono passo passo la storia oltreoceano di Carmine Leto e, più in particolare, di suo figlio Jon. Una storia che ha quasi dell'impossibile e che fa sorridere quando si ripensa alla consueta teatralità e passione con la quale tutti i nonni raccontano vicende passate. In questo romanzo, però, non è nonno Jon a raccontare gli anni struggenti della sua gioventù, bensì suo figlio, che attraverso un viaggio fisico e mentale va alla ricerca dei segreti "mericani" che suo padre ha taciuto per anni e che lentamente si è lasciato scivolare di bocca, come a voler custodire, geloso, il più prezioso dei tesori.

Jon, in punto di morte, ha le labbra increspate a pronunciare un solo nome, quello di Norma, il suo angelo biondo dal neo corvino, l'amore della sua vita. Non è un caso che sull'orlo del precipizio egli trovi sollievo negli unici anni, anzi mesi, davvero felici della sua vita. E sulle note di Blue Moon e le movenze di quel primo ballo insieme, viene narrata una storia d'amore avvincente e reale nella sua poca credibilità, che cattura e fa sognare. 

Carmine si fa carico dei ricordi del padre, scava a fondo e rivive, sentendoli quasi sulla propria pelle, i momenti che hanno segnato la vita di Jon, immaginando sequenze vivide come diapositive esposte di fronte ai suoi occhi. Jon si incarna nelle parole del figlio e prende vita, urlando attraverso una bocca non sua, impossibilitato dall'immobilità del suo letto per farlo lui stesso. 

Il passato ed il presente si intrecciano, sfidandosi, ma non c'è gara per Jon che chiudendo gli occhi rivede ancora il sorriso macchiato dal neo della sua Marylin. Un mondo che non ha più controllato dopo la morte di Leonardo, un mondo sul quale ha camminato senza guardarne la destinazione, "come uno spettatore della propria vita", perché lui la vita vera l'aveva vissuta e l'aveva perduta in America, tra le braccia della sua "zita" attrice. Non ha mai smesso di amarla e in punto di morte ella si rivela l'ancora di salvataggio, il portale che gli permette, ancora una volta, di intraprendere quel viaggio oltreoceano che tante volte aveva affrontato con l'unico desiderio di lei. 

I ricordi diventano la fiamma che lo tiene vivo e persino Carmine, attraverso quella singola fotografia e le poche parole sussurrate dal padre, riesce ad innamorarsi dell'attrice, ad innamorarsi per la seconda volta di Andy e della vita frenetica dei suoi tour. 

Carmine diventa il filo conduttore che unisce il presente al passato, che si immerge in entrambi i tempi, che vive un Jon ventenne ed un Jon affaticato nell'ingoiare un cucchiaio di minestra. Diventa quello che rivive le lacrime calde scorrere lungo le guance del padre alla notizia della morte di Marylin che però no, non era la sua Norma. Per un momento Carmine è Jon, pieno di vita, di amore e dei buoni odori della Family Tavern. 

Quel piccolo pezzo di vita "mericana", quello con Norma, incastonato nella cornice di una foto in riva al mare è per Jon un'ombra che mai lo abbandonerà, un'ombra luminosa che spesso rischiarerà il suo cammino. 

I ricordi hanno una doppia faccia, come le medaglie. Alcuni aleggiano splendenti, sfocati, come nuvolette pronte a strappare un sospiro ed un sorriso malinconico. Altri, come macigni sul petto, strappano lacrime e sentimenti di rimorso, dolore e vendetta. Jon parte con il ricordo del padre e con il desiderio di onorarne il ricordo. Incontra l'amore, quello vero, e con quel ricordo vive la sua vita, con la consapevolezza che mai lo avrebbe dimenticato. Vive di ricordi, ricordi di lutti, di odori, di sapori della sua amata terra e dei ricordi fa il suo porto sicuro, la dimensione in cui rifugiarsi quando quella presente diventa troppo da sopportare. Una storia meravigliosa, vera, che intreccia due epoche e ne confronta le difficoltà, i sacrifici, le gioie. Una storia che insegna l'amore per la famiglia, per la propria terra, ché quello vive sempre, nel passato e nel presente, che insegna ad inseguire i propri sogni e a rimboccarsi le maniche e "fatigàre", che con il sudore prima o poi in cima ci si arriva. E mentre mattone dopo mattone costruiamo il nostro muro di ricordi e di scelte, non arrendersi mai, perché come direbbero Andy Varipapa e Carmine Leto "tutto si aggiusta in questo mondo, fuorché la morte".

 

Mondadori

2015, 356 pp.

19,00 Euro

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Chi erano davvero gli eroi della guerra di Troia? Un racconto coinvolgente che cattura il lettore fino all'ultima pagina.

Giorgio Ieranò "Gli eroi della guerra di Troia" di Pasquale Lazzaro II C

Il saggio scritto da Giorgio Ieranò: "Gli eroi della guerra di Troia", pubblicato nel Giugno 2015, racconta dell'epopea Omerica in modo preciso e scavando a fondo nelle leggende più enigmatiche.

Omero ha scritto davvero l'Iliade e l'Odissea? Troia è realmente esistita? La guerra cantata da Omero nei suoi poemi è stata mai combattuta? Si tratta di storia o leggenda? Argomento principale del prologo del libro è proprio la questione Omerica. Nel prologo Ieranò, cita i più illustri studiosi che hanno affrontato il tema,  arricchendo sempre di più il libro con fonti per dimostrare ciò che dice.

A mano a mano si passa agli eroi, quelli che hanno vissuto in prima persona la guerra di Troia: Agamennone e Menelao,  Achille ed Ettore, Clitemnestra, Elena, Ecuba, Aiace, Ulisse e infine Enea.

Un saggio di letteratura antica intrigante, che con una sorta di ciclicità fa capire come l'epica Romana si sia agganciata a quella Greca.

Nonostante si tratti di un libro di tipo scientifico, l’autore utilizza un linguaggio molto divulgativo, cosicché chiunque possa leggerlo con una certa facilità e questo fa sì che il lettore possa godere della massima fluidità di lettura.

Attraverso uno stile semplice ed intriso di modernità, Ieranò è riuscito a trasformare un saggio specialistico di epica in una storia che potrebbe assomigliare ad un romanzo.

 

Sonzogno editore

2015, 236 pp.

13,60 Euro

 

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Il più autobiografico dei romanzi del grande autore siciliano.

Leonardo Sciascia "Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia" di Emanuela F. Bossa, ex Borrelliana.

 

 

 

“Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia”, viene pubblicato da Sciascia nel 1977 per i tipi di Einaudi e costituisce un unicum nella produzione letteraria sciasciana, unicum nel senso che si discosta, per alcuni punti salienti, dalla precedente ma anche successiva produzione dell’autore. Sciascia stesso considerava Candido il più autobiografico fra i suoi libri. Prima di entrare nel vivo del romanzo è bene specificare quanto e come la letteratura coeva e anche precedente abbia influenzato il romanzo di Sciascia, cioè valutare quanto l’autore abbia seguito alcuni principali modelli: le “Lettere Persiane” di Montesquièu (i due persiani che si vengono a trovare a Parigi sono portatori di un punto di vista candido, straniante), “L’idiota” di Dostojevskij (il principe Myškin è portatore di uno sguardo candido, non conformista), il Pirandello del candore (il candore del protagonista sciasciano non è stato modellato su quello dell’omonimo personaggio voltairiano ma sul candore pirandelliano, categoria individuata e studiata da Massimo Bontempelli nel saggio “Pirandello o del candore”: l’anima candida è incapace di accettare i giudizi altrui e farli propri, ragiona in autonomia, è sincera e non si preoccupa delle conseguenze, usa un linguaggio semplificato ed elementare), ma soprattutto “Candide, ou l’optimisme” di Voltaire (romanzo di formazione filosofica con cui Voltaire intendeva smontare le filosofie ottimistiche di stampo leibniziano, di cui è portavoce il precettore Pangloss, mostrando, attraverso le disavventure dei suoi “personaggi di gomma”, che non esiste il migliore dei mondi possibili, che un terremoto, e il riferimento è al terremoto di Lisbona del 1755, non è parte di un disegno divino positivo ma porta solo false paure e distruzione, che la violenza e la miseria, durante il periodo della guerra dei Sette anni, alberga in ogni Stato, ed è volata anche oltreoceano nella ricca America. Infine solo il lavoro dei campi garantirà un finale di matrice positiva. Quest’ultimo episodio sarà ripreso da Sciascia nel cap. 11, ma verrà rovesciato in quanto Candido e il precettore non riusciranno a far venir su dalla terra nulla di bono. Sciascia, nella nota finale al Candido dirà di aver imitato il libro di Voltaire e di non essere però riuscito a riprodurre quella leggerezza e velocità della narrazione che tanto ammirava nell’autore francese. Tuttavia, la critica è concorde nel dire che Sciascia abbia superato il suo modello principale e questo è vero se si analizza il finale del libro alla luce di quest’interpretazione:

«Questo è il nostro padre – gridò – questo è il nostro vero padre». Dolcemente, ma con forza Candido lo staccò dal palo, lo sorresse, lo trascinò. «Non ricominciamo coi padri» disse.

Proprio da questo passo emerge il rifiuto del modello da parte del personaggio, da un lato le figure genitoriali (la madre, che sempre Candido aveva respinto e alla quale non importava nulla del figlio; il padre naturale Francesco Maria Munafò morto suicida e il padre intellettuale Voltaire), ma anche da parte dell’autore che rinuncia all’aspetto dogmatico dell’illuminismo, così come il suo personaggio, nel corso del racconto si era liberato dal dogma del comunismo, dal dogma della religione, dal tabù dell’eros e dall’ossessione psicanalitica della società).

Il Candido di Sciascia è un libro complesso, a causa dei diversi generi letterari (biografia, romanzo storico, romanzo di formazione, romanzo filosofico) e dei vari temi che lo attraversano. I capitoletti (26, non numerati) con titolo argomentativo, la nota finale, alcuni temi trattati e il nome del padre di Candido (Francesco Maria), richiamano Voltaire. La storia è ambientata in Sicilia e poi in giro per il mondo, in un arco temporale lunghissimo che va dal 1943 al 1977. I personaggi principali sono Candido (protagonista, i suoi tratti specifici sono: la capacità di astrarsi totalmente dalla realtà, l’autonomia, una curiosa attitudine conoscitiva, l’incapacità di valutare le cose secondo un codice condiviso da tutti, un’etica naturale che si riflette nel materialismo religioso, la semplicità), Concetta (governante di casa Munafò, donna molto religiosa, ma di una religiosità popolare e superstiziosa), Maria Grazia Cressi (madre di Candido), ex generale fascista Arturo Cressi (padre di Maria Grazia e nonno di Candido), Francesco Maria Munafò (padre di Candido e avvocato difensore di malfattori e omicidi), Hamlet ovvero John H. Dykes (capitano americano amante di Maria Grazia), Paolo di Sales (segretario del locale Partito Comunista e amico del gen. Cressi), il PCI, la DC, l’arciprete Don Antonio Lepanto, Paola (governante del gen. Cressi e poi prima compagna di Candido), Francesca (seconda compagna di Candido).

La data di nascita di Candido Munafò (il cui nome richiama per la madre la volontà di cancellare il passato fascista e riscrivere la storia su una pagina candida, per il padre il suo aspetto dopo i bombardamenti) è emblematica: il protagonista nasce nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1943, proprio mentre gli alleati sbarcano in Sicilia, nasce nella notte del passaggio dalla dittatura alla democrazia. Questa notte influenzerà le scelte politiche del nonno, che appare diviso in due metà da un fascio di luce, da un lato il passato fascista che cerca di celare, dall’altro l’adesione alla DC come copertura, perché, come molti altri politici italiani, riteneva che fascismo e antifascismo fossero la stessa cosa.

In merito ad alcuni luoghi del libro si può parlare di parodia blasfema del Vangelo: Candido nasce in una grotta in una notte illuminata dai bengala, sua madre si chiama Maria (Grazia) come la Madonna, il padre paragona se stesso a San Giuseppe, la cui moglie ha concepito per virtù dello Spirito Santo, così come la sua per virtù dello spirito americano. Maria Grazia è molto diversa dalle tipiche madri siciliane, infatti non allatta il figlio e non se ne prende cura. A fornire gli alimenti a Candido è il capitano americano John Dykes che diventa così padre alimentare di Candido, il quale cresce sempre più roseo e biondo tale da suscitare nell’avvocato Munafò l’assurdo sospetto che il bambino non sia suo figlio ma del capitano americano. Accusa dunque Maria Grazia di averlo tradito al tempo del concepimento di Candido, ma le accuse sono infondate perché a quel tempo il capitano americano si trovava in America. La situazione precipita e i coniugi arrivano al divorzio per Sacra Rota e l’adulterio si consuma realmente. Candido intanto pare non accorgersi di nulla, dice addirittura, dopo la farsa dei genitori che litigano per averne l’affidamento (in realtà nessuno dei due vorrebbe avere il bambino con sé), di poter vivere in autonomia senza padre e madre. È questo uno dei principali attributi delle anime candide, così come il pacifismo di cui lo accusa il nonno, l’essere tardo e completamente assente di cui lo accusa Concetta, l’eccessiva sincerità di cui lo accusa tutto il paese.

Nella narrazione Sciascia ha inserito due micro-racconti polizieschi, che rispetto agli altri gialli sciasciani in cui il colpevole riesce a farla franca, vengono risolti proprio grazie a Candido e ciò gli suscita il risentimento della comunità. Il primo nel cap. 5: il colpevole del delitto viene assicurato alla giustizia grazie a Candido, il quale riferisce alla polizia il discorso “privato” ascoltato di nascosto fra l’avvocato suo padre e il vero assassino. L’avvocato Munafò, per vergogna, si suicida e la comunità inizia a guardare a Candido come responsabile di quel suicidio, ad un mostro, come definito da Concetta, dal generale Cressi e da Maria Grazia. Il generale e Concetta, preoccupati dai comportamenti del bambino, decidono di affidarlo ad un precettore, l’arciprete Don Antonio Lepanto, un prete moderno che si occupa di psicanalisi, il quale accetta di buon grado di occuparsi di un bambino, che secondo lui, soffre del complesso di Edipo. È Candido stesso a chiarire la questione, lui non ha ucciso il padre simbolicamente, ma realmente (anche se inconsciamente) e non assimila la figura della madre alla donna nuda del soffitto perché ne prova un affetto morboso, ma perché la donna del dipinto assomiglia realmente a Maria Grazia. Ecco che Candido ha scardinato un altro dogma, quello della psicanalisi (attraverso il suo personaggio, Sciascia si scaglia contro la psicanalisi ridotta a cliché. Non credeva nel potere curativo della psicanalisi e dunque la demonizza proprio tramite il punto di vista di un bambino).

L’altro micro-racconto poliziesco si trova nel cap. 10. Si tratta di un delitto d’onore appoggiato dalla comunità: un padre ha ucciso il prete che aveva sedotto la figlia. Il caso viene chiuso dal commissario per assenza di prove, ma Candido riesce a far ripartire l’inchiesta con una semplice constatazione:

«Le voci sono quasi sempre vere; e le cose sono quasi sempre semplici». (p. 57)

Il colpevole viene assicurato alla giustizia. Quest’inno alla semplicità, che può racchiudere il legame profondo tra Sciascia e l’illuminismo, ritorna nelle pagine successive:

«Ché a vederle, le cose si semplificano: e noi abbiamo invece bisogno di complicarle, di farne complicate analisi, di trovarne complicate cause, ragioni, giustificazioni». (p. 119)

Centrale è il cap. 12, in cui si compie il viaggio a Lourdes di Candido e Don Antonio, in quanto entrambi si liberano dalla religione intesa in senso dogmatico, restando colpiti in maniera negativa dalla strumentalizzazione del dolore operata dalla Chiesa (“Se io fossi Dio mi offenderei” afferma Candido): Don Antonio lascia l’abito sacerdotale e Candido scopre l’eros. Per la prima volta Sciascia presenta l’eros in maniera positiva, l’eros inteso come gioia dei corpi, paragonato al comunismo e all’amore per Paola. Si aprono a questo punto della narrazione due diversi filoni: uno privato, che riguarda la storia con Paola (lo abbandonerà dopo l’espulsione dal partito, credendo di essere la causa di quella decisione), l’altro pubblico, che riguarda le vicende all’interno del Partito comunista (per Candido il comunismo è un fatto di natura, non è ideologia, non è teoria. Candido preferisce scrittori come Hugo e Zola rispetto alle teorie astratte elaborate da Marx e Lenin. C’è dunque una critica dello stesso Sciascia al partito comunista che, in quegli anni, anziché fare opposizione politica, cercava in ogni modo di allearsi coi governi centristi. Candido sarà espulso dal partito che non condivide la sua relazione con Paola e offeso dal fatto che Candido ha paragonato il segretario del partito ad un personaggio comico di Dostojevskij. Candido dirà allora di essere un comunista senza partito).

Candido matura poi la decisione di abbandonare il paese e le sue terre, aiutato dai parenti. Incontra la cugina Francesca, la quale decide di seguirlo. Dopo vari viaggi, i due si trasferiscono a Parigi. Non è un caso: Parigi è la città dell’illuminismo, dei libri, una città-biblioteca piena di letteratura. Nell’ultimo capitolo Candido incontra casualmente la madre in un caffè. I due a stento si riconoscono e Candido, ancora una volta, si rifiuta di seguirla in America.

Come il personaggio voltairiano, il protagonista è mutato, è divenuto meno candido, conservando però gli attributi tipici del candore pirandelliano. Anche il modello del romanzo di formazione risulta superato. L’ultima frase del libro recita:

«Si sentiva figlio della fortuna; e felice».

Nel romanzo di formazione, la felicità si aveva a prezzo del sacrificio, della rinuncia di parte della propria libertà. Il Candido sciasciano, non solo ha sempre goduto di un alto grado di libertà, perché non soggetto ad alcuna figura d’autorità, ma si è, progressivamente, liberato di tutti quegli elementi che avrebbero potuto limitarne la libertà.

Penso che il Candido di Sciascia sia un libro quanto mai attuale. Il monito che mi preme sottolineare è l’invito alla semplicità, alla verità senza preoccupazione delle conseguenze, a guardare le cose in un’ottica meno complessa, in un mondo che rivela in ogni angolo silenzi e difficoltà.

 

Autore: Leonardo Sciascia (Racamulto 8/01/1921- Palermo 20/11/1989)

Titolo: Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia

Editore: Adelphi

Luogo di edizione: Milano

Anno edizione utilizzata:2014

Numero di pagine: 137 pp.

Prezzo: 9,00 € 

 

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Un romanzo ambientato in Calabria che narra di una famiglia attaccata alla sua terra, alle sue origini, alla sua storia.

Carmine Abate "La collina del vento" di Maria Antonella Calzone classe I B

La famiglia Arcuri possiede da tempo il Rossarco, una collina a strapiombo sul mare, sulla quale soffia sempre un buon vento, da qui il nome del romanzo. Una mattina Michele, Angelo e Arturo giocano insieme in uno stagno, non molto lontano dalla mamma Sofia, quando all’udire di alcuni spari corrono dalla mamma e subito via, non prima che Arturo vedesse due uomini stesi atterra, morti.

Giorno dopo giorno Alberto, la moglie e i figli lavorano sodo per acquistare e coltivare tutta la collina. Una mattina si presenta da Alberto un signore torinese di nome Paolo Orsi, un giovane archeologo che era sulle tracce di Krimisa, antica città della Magna Grecia. Per l’Italia, quello, non era un buon periodo perché stava per entrare in guerra, e lo stesso fu per Alberto e Sofia che videro partire per il fronte tutti e tre i figli e ne videro ritornare solo uno, Arturo. Arturo si sposò con Lina e da lei ebbe due figli: Michelangelo, chiamato così per ricordare i due fratelli, e Ninabella. Arturo stava dalla parte dei contadini e si batté per i loro diritti, ma Don Lico, un ricco signore che voleva a tutti i costi il Rossarco, fece andare  Arturo al confino dove rimase per cinque anni. Intanto sul Rossarco la vita continuava, Lina e Sofia coltivavano la terra, Michelangelo studiava e aiutava le due donne in campagna e Ninabella sviluppava delle doti da pittrice. Michelangelo andò alla scuola superiore a Catanzaro e dopo un po’, con molti sacrifici anche Ninabella andò a studiare insieme al fratello. Passati i cinque anni di confino, per Arturo era giunto il momento di tornare a casa.

Nel 1940 iniziò la Seconda Guerra Mondiale e sul Rossarco si schiantò un aereo, da cui gli Arcuri tirarono fuori un giovane di nome William. Lo aiutarono in tutti i modi possibili e lui, quando poteva ricambiava. Tra William e Ninabella nacque qualcosa, che però non venne mai dichiarato. Michelangelo finì gli studi e venne chiamato al fronte. Alla fine della guerra le donne della famiglia Arcuri ritrovarono William impiccato ad un albero e non seppero più notizie di Arturo. Sul Rossacro ripresero gli scavi a cura di Umberto Zanotti-Bianco e dalla sua allieva Marisa Marengo, poiché Paolo Orsi era morto. Michelangelo insegnava nella scuola elementare di Spillace e  tra lui e Marisa fu subito amore. Si sposarono ed ebbero un bambino chiamato Rino.

Rino, sin da bambino viaggiò da Nord a Sud e dopo un po’, per volere dei suoi genitori, si stabilì a Torino con  i nonni materni e solo nelle vacanze scendeva al Sud. Rino si ritrovò in viaggio verso il Rossacro quando una telefonata del padre lo allarmò. Rino andò dal padre perché doveva sapere il segreto che si tramandava ormai da generazioni, proprio su quella terra, mentre sotto il diluvio, una crepa squarciava le terre del Rossacro.

Il romanzo è ambientato in Calabria, sulla collina del Rossarco, i fatti si svolgono maggiormente qui, tra i vigneti, le isole di fichi d’India e gli ulivi secolari. Il protagonista vero è il Rossacro dove si intrecciano le vite di quattro generazioni di Arcuri: Alberto,  sua moglie Sofia, e i tre figli Michele, Angelo e Arturo, Lina lamoglie di Arturo e i loro due figli Michelangelo e Ninabella, Don Lico, gli archeologi Paolo Orsi, Umberto Zanotti-Bianco, Marisa Marengo e Rino, il figlio di Marisa e Michelangelo. La narrazione è costruita su più piani, il narratore è per lo più esterno ma in alcune tratti diventa interno e cambia frequentemente il punto di vista, fabula e intreccio non coincidono.

Un romanzo epico e corale, un autentico capolavoro della nuova letteratura italiana. Impressiona la bravura dell'autore nell'attraversare un secolo di storia locale e nazionale, raccontando l'epopea di una famiglia che difende la propria collina dalle grinfie di tutti i prepotenti.

 

Mondadori

2015, 260 pp.

13,00 Euro

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Noi siamo cultura, perché il sapere ci rende liberi.

Edoardo Boncinelli "Noi siamo cultura" di Claudia Rocca, classe V B

"Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza", così ci avverte il sommo poeta. Ma cos’è la conoscenza? Essa è tutto ciò che abbiamo e tutto ciò che ci rimane anche quando ogni cosa sembra perduta. L’unico modo per essere indipendenti, anche quando siamo subordinati a qualcosa o a qualcuno, l’unica via per essere liberi, persino essendo schiavi. Infondo, noi siamo quello che conosciamo.

La cultura è una responsabilità, scrive Edoardo Boncinelli, è prendere consapevolezza di doversi migliorare, di progredire, di andare oltre ciò che abbiamo acquisito solamente per sentito dire, andare al di là dei nostri sensi e dei nostri istinti, di sviluppare un pensiero critico e non accontentarsi mai. Cultura è l’ambizione di dare un contributo, seppur piccolissimo, attraverso il sapere individuale, all’intera umanità. Cultura è essere curiosi, non fermarsi all’apparenza delle cose, ma cercare di capirne l’essenza, è ”il desiderio di capire quello che ancora non si è capito e di capire ancora meglio quanto si è già capito”, voler conoscere per il mero fine di arricchire quel piccolo bagaglio che ci accompagna per tutta la vita tentando, è nostro dovere farlo, di riempirlo nel passare degli anni. Cultura è quella "sete natural che mai non sazia", è uno stile di vita che scegliamo per noi stessi e per aprire la mente al cambiamento, alle nuove idee e a nuovi orizzonti, alla diversità e soprattutto al confronto. Perché è meglio restare della propria idea conoscendo anche opinioni contrarie alla nostra, che ostentare le nostre convinzioni nell’ignoranza. Solo se si è dotati di strumenti acquisiti assimilando il sapere e consolidando le proprie idee attraverso il confronto con quelle altrui ci si può sottrarre a ogni tipo di condizionamento esterno. Cultura, mi permetto di aggiungere, è passione: passione per ciò che si studia e trovare piacere nel farlo. La grandezza dell’autore, tuttavia, non risiede solamente nella nobiltà e nella grandezza delle sue parole. Il pregio di questo libro è soprattutto la mescolanza spontanea tra sapere scientifico e sapere umanistico: il citare Dante, Bergson, artisti, filosofi, umanisti in piena regola, parlando di Dna e genoma. Egli rende infatti accessibile il sapere tecnico-scientifico a tutti, combinandolo con elementi, per così dire, umanistici . Ed è con l’utilizzo di questi diversi registri argomentativi che l’autore si pone e ci pone una domanda fondamentale: la nostra natura è quella di appagare la sete di sapere, ma ”quale sapere?” Il sapere scientifico, oggettivo e razionale, o il sapere umanistico, istintivo/impulsivo e immaginifico?  La distinzione fra i due tipi di sapere è ormai un tòpos. Continuamente ci sentiamo dire che il progresso scientifico sta inaridendo le nostre anime e sta portando via tutto ciò che c’è di più umano a questo mondo. Guardando a  Bergson, possiamo ormai concepire la tecnica   come un prolungamento del corpo umano, in quanto grazie ad essa l'uomo è agevolato nelle sue attività ma, in un'epoca in cui il corpo si è gonfiato a dismisura, si rende necessario anche un "supplemento di anima", espressione con la quale Bergson sottolinea come le responsabilità siano infinitamente cresciute, come a dire che, aumentato il corpo, anche l'anima deve adeguarsi. 

Ma davvero esiste una distinzione dei due saperi? Davvero il sapere può essere categorizzato e distinto in due macro-blocchi? La soluzione, come afferma l’autore stesso, sarebbe un misto di saggezza e buon senso. La cultura scientifica e quella umanistica contribuiscono in egual modo all’interpretazione della realtà ed entrambi ci offrono i mezzi per comprenderla. L’ideale,  certo, sarebbe un'alleanza tra scienziati, filosofi, artisti, economisti, giuristi e politici: in questo modo, oltre al progresso tecnico-scientifico può avvenire un progresso morale e spirituale che sembra stia regredendo a causa di quello scientifico. Il sapere è perciò qualcosa di unico, non riducibile a una mera distinzione di argomenti filosofici da quelli biologici o quelli letterari da quelli informatici ecc.

E’ bene sapere un po’ di tutto ed avere il coraggio di conoscere poiché quando si conquista la conoscenza, si ottengono degli occhi nuovi e maggiormente consapevoli per osservare la realtà. E molto spesso la realtà è meno bella dei sogni e non è grandiosa come la immaginavamo.

"Sapere aude!", esorta l'autore: poiché non c'è nulla di più naturale e umano che avere il coraggio di conoscere. 

 

Rizzoli

2015, 156 pp.

18,00 Euro

 

 

 

 

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Un romanzo di formazione che ha come protagonista un quattordicenne.

Niccolò Ammaniti "Io e te", di Giovanni Riccio III A

"Io e te"  è stato pubblicato nel 2010.

Nel romanzo il protagonista è un ragazzo, Lorenzo, di 14 anni che ha problemi di socializzazione con gli altri suoi compagni. Fino a 14 anni, Lorenzo ha frequentato scuole private. Quando arriva il momento di iscriversi alle superiori, Lorenzo  e i suoi optano per un liceo classico statale. Quello per lui era tutt'altro ambiente rispetto alle scuole private: ragazzi che fanno i bulli, i più piccoli che vengono sottomessi dai più grandi...

Lorenzo non riusciva a sopportare questa situazione, allora decide di "mascherarsi", come ha visto fare in TV alle mosche che si travestono in vespe per entrare nel loro territorio.

Un giorno, sentendo parlare alcuni suoi compagni che organizzavano una settimana bianca a Cortina, decide di dire a sua madre che gli avevano proposto di andare con loro e lui aveva accettato. Invece, Lorenzo durante quella settimana si era nascosto nella cantina per non fare scoprire alla madre che le aveva mentito, solo per farle vedere che era accettato dagli altri ragazzi. Nella cantina aveva tutto il necessario per una settimana: acqua, cibo, playstation. Ogni giorno la madre lo chiamava per sapere come stava e ogni volta insisteva di parlare con la mamma di Alessia, la compagna di Lorenzo che aveva organizzato il viaggio.

Una mattina, però, riceve una telefonata strana. Quel giorno lo aveva chiamato la sorellastra Olivia, che voleva sapere se i suoi fossero a casa. Lorenzo pensava fosse un inganno e le disse che era in settimana bianca a Cortina.

Sta di fatto che il giorno dopo sentì che qualcuno stava cercando di entrare nella cantina. Si nascose. Ad essere entrata nella cantina era Olivia, che cercava uno scatole di cose sue.Lorenzo riuscì a convincere Olivia a non dire niente sul suo nascondiglio. La ragazza accettò. Quella sera, però, alla finestra Lorenzo sentì bussare. Era Olivia che gli chiedeva un posto dove potesse dormire, cioè voleva restare da lui in cantina. Inizialmente Lorenzo non voleva farla entrare, ma poi lei lo ricattò dicendogli che avrebbe detto tutto al padre e alla madre del ragazzo. Lorenzo a quel punto la fece entrare, non aveva scelta.

Nei giorni successivi Lorenzo vedeva Olivia agitata, come se avesse una strana malattia. Alla fine della settimana Olivia era peggiorata visibilmente: tremava, si agitava e voleva soldi dal fratellastro, il ragazzo comprende che si trattava di crisi di astinenza, ma non diede giudizi. Al termine della "settimana bianca", Lorenzo doveva ritornare a casa. Nonostante tutto tra i due si era creata una certa complicità. I due fratelli iniziano a conoscersi e a volersi bene.

Prima di lasciarsi, Lorenzo e Olivia fecero un patto: Olivia non avrebbe dovuto più prendere sostanze stupefacenti e Lorenzo le promise che si sarebbero rivisti.

La mattina seguente Olivia se ne era già andata, lasciando un biglietto a Lorenzo.

Il romanzo è incentrato su un unico lungo flashback. Infatti la storia inizia con Lorenzo che si trova in un bar nel Friuli, mentre aspetta di vedere la sorellastra.

Dopo questa breve narrazione, il narratore, che è in prima persona, cioè Lorenzo, parla della sua avventura nella cantina.

Il libro si conclude di nuovo, in una sorta di struttura ad anello,  con il protagonista che si trova nel bar friulano,dove Olivia ha perso la vita per overdose, il cerchio si è chiuso.

Il linguaggio è semplice e adatto a un pubblico che parte dagli adolescenti a finire a un pubblico adulto.

Il tempo è ben definito, visto che durante la narrazione sono riportate le date nelle quali avvengono i fatti. La durata della narrazione è di una settimana, il periodo in cui Lorenzo si trova nella cantina, ma il fatto è narrato dieci anni dopo, mentre si trova nel bar. Più che un romanzo si tratta di un racconto lungo, che si legge di getto.

Dal libro è stato tratto anche l'omonimo film.

La storia è molto coinvolgente, anche se alla fine risulta essere molto triste a causa della scomparsa di Olivia.

 

Giovanni Riccio III A

 

Einaudi

122 pp.

10,00 Euro

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Un catalogo ragionato di cento libri, tra narrativa, storia, geografia, scienze sociali, per cercare di capire perché Calabria e Calabresi sono come sono.

Francesco Bevilacqua "Lettere Meridiane. 100 libri per conoscere la Calabria" di Carmen Corabi

Nell'ampio libro di Francesco Bevilacqua sono introdotti e presentati ben 100 libri che permettono al lettore di conoscere le ombre più cupe che oscurano la nostra regione, ma allo stesso tempo le regalano quel velo di curiosità che la caratterizza.

 Vi sono pregiudizi secolari che gravano sulla Calabria, ‘la regione più a sud del sud’, come viene definita nella prima parte del libro. La Calabria che gode già di una pessima fama per via della Guerra dei trent’anni, per le calamità naturali, la rapacità della nobiltà locale, la durezza e le atrocità dell’esercito francese nel periodo napoleonico, in seguito all’unità d’Italia per il rafforzamento dei ceti dominanti, la nuova stretta fiscale che causarono una furibonda ripresa del brigantaggio, ma anche per l’arretratezza della terra, l’omertà, il mal governo e l’alto rischio sismico.

Nel libro Francesco Bevilacqua attraverso argomenti multidisciplinari prova ad offrire la sua interpretazione sulla Calabria e sui suoi abitanti aldilà di ogni stereotipo.

Nel novantanovesimo libro Cassano afferma che: ‘la disuguaglianza fra le due aree del paese (nord e sud) non fa più una disparità da ridurre, ma divenne l’espressione necessaria della diversità degli impegni e dell’abilità. ’

 Il nord quindi non è forte ed evoluto tanto da poter sfruttare il sud debole ed arretrato, ma al contrario sono proprio le aree deboli a fruttare le aree forti, il sud quindi non è tutto arretrato, ma è costituito da una varietà di situazioni.

Ci sono tre modi di vedere il sud:

-   il primo modo è ‘il paradigma della dipendenza ovvero dello sfruttamento’. Secondo il quale il sud appare come una vittima che perde le sue risorse ed è costretta a cederle alle aree più forti. L’unica soluzione sarebbe rovesciare i rapporti di forza;

-   Il secondo modo di vedere il sud è ‘il paradigma del ritardo ’ La società umana accresce grazie al passaggio dalla tradizione alla modernità, ma il sud conservatore dei propri valori è troppo ancorato alla tradizione, da frena il suo progresso;

-    Terzo, ma non meno importante è ‘ il paradigma dell’autonomia’.

 

Gli argomenti principi del libro sono la questione meridionale, i pregiudizi degli abitanti, il brigantaggio, la ‘ndrangheta, l’emigrazione e i viaggiatori stranieri.

Ma sono anche altri aspetti a rendere il libro un vero e proprio capolavoro della letteratura meridionale, come la descrizione fine dei paesaggi e della storia calabrese, capace di far rivivere e vivere negli occhi dei lettori le parole narrate, attraverso una lettura scorrevole, avvincente ma anche piacevole e nostalgica, mettendo alla luce i temi più duri da affrontare per noi calabresi.

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La storia vera di Bibi in fuga dal Ruanda insanguinato, per non dimenticare l'ultimo genocidio del XX secolo.

Cristiana Ruggeri "Dall'Inferno si ritorna"  di M. Sofia Squillace, IV A


Dopo aver letto il romanzo-inchiesta di Christiana Ruggeri ho maturata la convinzione che non ci potesse essere opera letteraria più adatta per aprire il dibattito sulla tematica di Gutenberg 14: “demoni e meraviglie”. In questo romanzo-memoriale, “terribile” per molti aspetti, un occidentale potrebbe illudersi di ritrovarsi a fatica, ma basta un piccolo momento di riflessione per rendersi conto che non è così.

Dall’inferno si ritorna è il racconto del terribile massacro avvenuto in Ruanda negli anni ’90, ai danni di una minoranza etnica: i Tutsi. L’intera vicenda è vista attraverso gli occhi di una bambina di soli 5 anni, Bibi, la cui famiglia viene trucidata, lei è l’unica superstite e per si sente a “disagio”, oppressa da un senso di colpa che tornerà spesso nel corso della sua vita.

Bibi vede morire i suoi cari e riconosce uno degli assassini, un giovane che incarna perfettamente la tipologia di uomo che agisce per volontà altrui, un monumento alla “stupidità” e all’ignoranza. Il demoniaco nelle pagine iniziali prende corpo, non esce dagli angoli bui, ma dal quotidiano e la normalità lo affronta con “il desiderio di succo d’ananas”. La galleria dei démoni che appaiono via via nel narrato è impressionante: l’injiji  (l’ignorante, indolente e sudicio figlio del fruttivendolo, che indossando una mimetica e ammazzando bambini si sente un grande uomo); l’infermiera – ippopotamo (che con le sue domande cerca di smascherare i Tutsi per denunciarli); lo sfregiato (che le promette di aver ben fissato nella memoria la sua faccia e che la prossima volta che la incontrerà l’ammazzerà); le suore e i preti che per salvarsi la vita si sono trasformati in carnefici, dando fuoco alla chiesa in cui molti Tutsi si erano rifugiati e, infine, Roland (che, tradendo la fiducia di Gerard, abbandona Bibi in mezzo al nulla invece di portarla in un luogo sicuro). Un crescendo manzoniano, come può anche apparire manzoniana l’insufficienza del male e dei suoi accoliti, la sua incapacità finale di trionfare su Bibi: ma non c’è nessuna provvidenza, nessun disegno superiore che guidi l’eroe verso la comprensione e la vittoria finale sulle forze oscure. Esiste, anche in questo caso, un bene quotidiano, fatto di piccole iniziative: Joseph, Mama Lucy, Gerard, Astrelle, Padre Philippe e suor Celeste sono gli “elementali” del bene, ma sono anche il “meraviglioso” del bene, lo stupor mundi del bene, che irrompe dolce e nutriente ad un tempo, il “succo d’ananas” che Bibi cercava in mezzo al sapore metallico del sangue. Ma il bene è un mare, un riflusso: appare e scompare, lasciando sempre Bibi nell’incertezza: ad ogni incontro, ad ogni illusione, segue una dolorosa separazione che lacera l’anima della piccola lasciandole profonde cicatrici. È un flusso e riflusso continuo: le ferite fisiche guariscono ed il braccio straziato dopo tante cure mediche tornerà come nuovo, ma le ferite dell’anima no, quelle sono difficili da curare. In un “mondo alla rovescia” tutto è straniato; Bibi è una bambina coraggiosa, non scorda mai ciò che ha imparato dal nonno e le parole della mamma risuonano ancora nella sua testa: ‘Non si dicono le bugie, bisogna sempre dire la verità’. Ma la verità sembra non avere spazio nel reale, per salvarsi deve vivere sotto falsa identità, lei che vorrebbe essere se stessa, gridare a tutti chi sono i suoi veri genitori; quando trova il modo di confessare tutto a Gerard, il suo “angelo” zairese, si sente libera, ma deve fare nuovamente i conti con la malvagità umana, deve tornare a casa, in Ruanda, e si ritrova sola e abbandonata, per le strade della sua città, finendo nell’incubo dell’orfanotrofio. Ma la meraviglia del bene si personifica in Suor Celeste, che si innamora di quella piccola donna intraprendente intrappolata in un corpo da bambina e la dolcezza ed il profumo del bene sbocciano come un frutto, come il mango “giallo e dolce” che addentano sorridendo, con la certezza nel cuore che “Dio è tornato in Ruanda”, o meglio gli uomini che portano un Dio nel cuore sono tornati in Ruanda.

Da questo momento, come in un crescendo, il meraviglioso acquista spazio, fino ad assorbire del tutto la scena: l’adozione a distanza, gli studi per diventare medico e diventare a sua volta “strumento” del bene scandiscono il tempo di Bibi.

Tuttavia il male ha segnato per sempre la vita della protagonista, un male gratuito, senza ragione che come una malattia incurabile serpeggia nell’animo di alcuni esseri umani; a questo male si è contrapposto il bene; un bene, tuttavia, difficile e faticoso da perseguire.

Dicevo all’inizio del mio intervento che un occidentale potrebbe, forse, riconoscersi a fatica in questa esperienza, ma non è così. Se mi si permette l’utilizzo delle categorie letterarie di Elio Vittorini: tra il 1990 ed il 1993 il Ruanda è il “mondo offeso” e Bibi è il simbolo dell’uomo offeso. Interahamwe, Impuzamugambi, totenkopfsturmbanne, giovani turchi, boxer, khmer, policia e desaparecidos, KGB, CIA, integralisti; nel ‘900 tanti nomi per una sola cifra: strumenti del male, negazionisti dell’umanità, “uomini NO”.

Ma ciò che affascina, terrorizza e commuove di questo romanzo, non sono il “male” e i suoi portatori, quanto l’indifferenza del bene e dei suoi sostenitori, motivo per cui il bene diviene “meraviglia” quando si squaderna nel mondo. Ed è questa la lectio magistralis di Christiana Ruggeri: alla costanza del male occorre contrapporre la continuità del bene, che per sua natura è riflusso e marea ed allora, solo allora “dall’inferno si ritorna” accompagnati da quegli uomini che “portano un Dio nel cuore”.

 

Vorrei dedicare questo intervento alla memoria di Ilaria Alpi, “caduta con un Dio nel cuore” in Somalia a Mogadiscio il 20 marzo 1994, mentre era “sulle tracce del male”.

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  • Bussola di Mathias Enard, E/O edizioni, romanzo vincitore del Prix Goncourt 2015.
  • Il corso dell'amore di Alain Botton, Guanda edizioni.
  • Le ragazze di Emma Cline, Einaudi.
  • L'elefantina che voleva addormentarsi di C. J. Forssén Ehrlin, Mondadori.
  • Pulcinellopedia Seraphiniana di Luigi Serafini, Rizzoli.

 

 

 

 


  • Trigger Warning di Neil Gaiman, Mondadori.
  • Zero K di Don De Lillo, Einaudi.
  • La vegetariana di Han Kang, Adelphi.
  • Il cavaliere dei sette regni di George R. R. Martin, Mondadori, edizione illustrata.
  • La paranza dei bambini di Roberto Saviano, Feltrinelli.
  • La pioggia deve cadere di K. Ove Knausgard, Feltrinelli.
  • Gli assalti delle panetterie di Haruki Murakami, Einaudi.
  • Seta di Alessandro Baricco, Feltrinelli, illustrato da Rebecca Dautremer.


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