Noi siamo cultura, perché il sapere ci rende liberi.

Edoardo Boncinelli "Noi siamo cultura" di Claudia Rocca, classe V B

"Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza", così ci avverte il sommo poeta. Ma cos’è la conoscenza? Essa è tutto ciò che abbiamo e tutto ciò che ci rimane anche quando ogni cosa sembra perduta. L’unico modo per essere indipendenti, anche quando siamo subordinati a qualcosa o a qualcuno, l’unica via per essere liberi, persino essendo schiavi. Infondo, noi siamo quello che conosciamo.

La cultura è una responsabilità, scrive Edoardo Boncinelli, è prendere consapevolezza di doversi migliorare, di progredire, di andare oltre ciò che abbiamo acquisito solamente per sentito dire, andare al di là dei nostri sensi e dei nostri istinti, di sviluppare un pensiero critico e non accontentarsi mai. Cultura è l’ambizione di dare un contributo, seppur piccolissimo, attraverso il sapere individuale, all’intera umanità. Cultura è essere curiosi, non fermarsi all’apparenza delle cose, ma cercare di capirne l’essenza, è ”il desiderio di capire quello che ancora non si è capito e di capire ancora meglio quanto si è già capito”, voler conoscere per il mero fine di arricchire quel piccolo bagaglio che ci accompagna per tutta la vita tentando, è nostro dovere farlo, di riempirlo nel passare degli anni. Cultura è quella "sete natural che mai non sazia", è uno stile di vita che scegliamo per noi stessi e per aprire la mente al cambiamento, alle nuove idee e a nuovi orizzonti, alla diversità e soprattutto al confronto. Perché è meglio restare della propria idea conoscendo anche opinioni contrarie alla nostra, che ostentare le nostre convinzioni nell’ignoranza. Solo se si è dotati di strumenti acquisiti assimilando il sapere e consolidando le proprie idee attraverso il confronto con quelle altrui ci si può sottrarre a ogni tipo di condizionamento esterno. Cultura, mi permetto di aggiungere, è passione: passione per ciò che si studia e trovare piacere nel farlo. La grandezza dell’autore, tuttavia, non risiede solamente nella nobiltà e nella grandezza delle sue parole. Il pregio di questo libro è soprattutto la mescolanza spontanea tra sapere scientifico e sapere umanistico: il citare Dante, Bergson, artisti, filosofi, umanisti in piena regola, parlando di Dna e genoma. Egli rende infatti accessibile il sapere tecnico-scientifico a tutti, combinandolo con elementi, per così dire, umanistici . Ed è con l’utilizzo di questi diversi registri argomentativi che l’autore si pone e ci pone una domanda fondamentale: la nostra natura è quella di appagare la sete di sapere, ma ”quale sapere?” Il sapere scientifico, oggettivo e razionale, o il sapere umanistico, istintivo/impulsivo e immaginifico?  La distinzione fra i due tipi di sapere è ormai un tòpos. Continuamente ci sentiamo dire che il progresso scientifico sta inaridendo le nostre anime e sta portando via tutto ciò che c’è di più umano a questo mondo. Guardando a  Bergson, possiamo ormai concepire la tecnica   come un prolungamento del corpo umano, in quanto grazie ad essa l'uomo è agevolato nelle sue attività ma, in un'epoca in cui il corpo si è gonfiato a dismisura, si rende necessario anche un "supplemento di anima", espressione con la quale Bergson sottolinea come le responsabilità siano infinitamente cresciute, come a dire che, aumentato il corpo, anche l'anima deve adeguarsi. 

Ma davvero esiste una distinzione dei due saperi? Davvero il sapere può essere categorizzato e distinto in due macro-blocchi? La soluzione, come afferma l’autore stesso, sarebbe un misto di saggezza e buon senso. La cultura scientifica e quella umanistica contribuiscono in egual modo all’interpretazione della realtà ed entrambi ci offrono i mezzi per comprenderla. L’ideale,  certo, sarebbe un'alleanza tra scienziati, filosofi, artisti, economisti, giuristi e politici: in questo modo, oltre al progresso tecnico-scientifico può avvenire un progresso morale e spirituale che sembra stia regredendo a causa di quello scientifico. Il sapere è perciò qualcosa di unico, non riducibile a una mera distinzione di argomenti filosofici da quelli biologici o quelli letterari da quelli informatici ecc.

E’ bene sapere un po’ di tutto ed avere il coraggio di conoscere poiché quando si conquista la conoscenza, si ottengono degli occhi nuovi e maggiormente consapevoli per osservare la realtà. E molto spesso la realtà è meno bella dei sogni e non è grandiosa come la immaginavamo.

"Sapere aude!", esorta l'autore: poiché non c'è nulla di più naturale e umano che avere il coraggio di conoscere. 

 

Rizzoli

2015, 156 pp.

18,00 Euro

 

 

 

 

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Commenti: 1
  • #1

    Mario murredda (lunedì, 30 luglio 2018 18:42)

    tutta questa cultura e l'uomo è sempre ricattato per il cibo e la malattia!!!!?