Sui diritti dell'uomo e del cittadino

di Antonio Trovato

 

I diritti umani fondamentali sono da sempre il tema più importante del mondo in cui viviamo, e riconoscerli e proteggerli è alla base della nostra democrazia. Si iniziò a parlare di “diritti naturali” nell’età moderna, con le dichiarazioni contenute nei documenti che erano il risultato delle rivoluzioni settecentesche, come la “Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti” del 1776 e la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” in Francia nel 1789. Prima di esse esistevano solo carte dove erano prescritti i doveri e gli obblighi dell’individuo nei confronti del potere, come la “Magna Charta” del 1215 o il “Bill of Rights” del 1689, che di fatto erano delle concessioni del sovrano. Ora invece gli individui non venivano più considerati sudditi ma cittadini. La Dichiarazione d’Indipendenza venne approvata il 4 luglio 1776 e accettava i diritti inalienabili dell’uomo, quali la vita, la libertà e la ricerca della felicità, come “verità di per se evidenti”, ed è compito dei governi garantire il godimento di questi diritti, e se non lo fa è diritto del popolo sostituirlo,    (diritto di resistenza). Nel 1791 vennero integrati 10 articoli, i primi dieci emendamenti, nella Costituzione federale degli Stati Uniti, per una migliore salvaguardia dei diritti individuali dei cittadini. La Dichiarazione dei diritti per eccellenza è quella promulgata in Francia nel 1789. Era composta da 17 articoli che garantivano i diritti naturali e la sovranità nazionale, la separazione dei poteri, l’habeas corpus, le libertà di stampa, opinione e religiosa e il diritto di proprietà. Nel 1793 venne approvata la Costituzione “giacobina”, che oltre ai diritti civili e politici garantiva i diritti sociali. La Costituzione successiva, emanata nel 1795, era invece una Dichiarazione dei diritti e dei doveri, e apriva una nuova fase per le costituzioni. Sia le costituzioni francesi che quella americana escludevano le donne, e quella americana escludeva anche neri e nativi. Insomma la definizione di “uomo” era ancora molto limitata. La definizione dei diritti fondamentali è il risultato di processi storici che hanno portato a definire la quantità dei diritti fondamentali e l’estensione della loro titolarità. Esistono tre categorie di diritti fondamentali: civili, politici e sociali. Nella seconda metà del Novecento si è assistito a un’ulteriore espansione dei diritti fondamentali: diritti più specializzati, (diritto dell’infanzia), tutela dell’ambiente, diritto alla privacy e molti altri. Oggi la Costituzione italiana pone la tutela dei diritti fondamentali tra i suoi principi, garantisce pari dignità sociale, l’uguaglianza di fronte alla legge e il diritto al lavoro. Contiene anche i doveri fondamentali, quali difendere la patria, contribuire alle spese pubbliche e obbedire alle leggi. Il voto è definito un “dovere civico”. Il punto di riferimento mondiale per quanto riguarda i diritti umani è la Dichiarazione universale delle Nazioni Unite, adottata il 10 dicembre 1948. La dichiarazione è composta da 30 articoli: i primi due sono la basa fondamentale, (“tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”), dal 3 al 17 vengono fissati i diritti civili, dal 18 al 21 i diritti politici, dal 22 al 27 i diritti economici, scoiali e culturali, dal 28 al 30 le disposizioni che riguardano la realizzazione dei principi contenuti nella Dichiarazione. Ogni stato ha poi il compito di far applicare il contenuto della Dichiarazione. L’ONU ha in seguito emanato altre Dichiarazioni specifiche, ma ancora oggi in molte parti del mondo non sono garantiti i diritti basilari, come quello alla vita.

 

 


L'evoluzione del diritto nelle carte costituzionali

di Antonio Angotti

Il ‘700 fu un secolo di grande innovazione culturale e non solo: il secolo dei lumi infatti aveva creato un effetto rivoluzionario a catena che dall’ambito culturale si spinse fino ad ogni cosa conosciuta dall’uomo. Fu grazie a questo che l’uomo, che fino ad allora era stato suddito di un’entità superiore, riuscì a prendere coscienza della sua stessa forza e a rovesciare completamente la sua situazione, diventando cittadino. Fu un cambiamento graduale che ancora oggi non è completato, in quanto non a tutta l’umanità sono stati ancora garantiti i diritti inalienabili. Lo spirito di rivolta e la presa di coscienza, uniti al diffondersi delle prime teorie giusnaturalistiche e contrattualistiche, portò alla nascita delle prime Costituzioni. Prendeva sempre più piede, dunque, la convinzione che il potere non provenisse dal sovrano ma direttamente dal popolo: è questo che fece la differenza nella presa di coscienza da parte del cittadino che la sovranità appartenesse al popolo stesso. Il nucleo centrale delle Costituzioni dell’Età Moderna, promulgate dalle assemblee costituenti di due paesi protagonisti dell’epoca quali Stati Uniti d’America e Francia, è il fatto che gli uomini hanno diritto a dei diritti inalienabili e innati, che variano leggermente da una Costituzione all’altra, che il Governo viene eletto per far sì che questi diritti vengano garantiti e che nel caso in cui i governanti non adempiano ai propri doveri, vanno cacciati con la forza (le rivoluzioni di questo periodo sono un grande esempio di quest’affermazione) e va trovata una nuova soluzione di governo. Particolare è l’ultimo di questi tre punti: grazie a questo gli Stati Uniti riescono a giustificare l’insurrezione contro la madrepatria Inghilterra e la conseguente Dichiarazione d’Indipendenza. Nel caso della Costituzione Statunitense, nel primo dei dieci emendamenti veniva dichiarato il fatto che pur essendo gli Stati Uniti nati da una “protesta” religiosa con conseguente espatrio, essi si proponevano di punire le ingerenze religiose all’interno della sfera civica, in quanto si doveva garantire il diritto alla libertà agli abitanti delle tredici colonie senza imporre una religione che fosse unica e obbligatoriamente valida per tutti. La storia delle Costituzioni Francesi è invece molto più complessa e ricca di controversie: si parte con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, che sulla scia di quella americana si propone di garantire ai cittadini dei diritti innati: a differenza degli Stati Uniti la Francia propone di tutelare anche la proprietà. Sul fatto che questa sia improntata su principi illuministici non ci sono dubbi: Rousseau e Montesquieu sono protagonisti di questo documento con due articoli che parlano di sovranità della nazione, dunque di consenso popolare, e di separazione dei poteri. Ancora più radicale, democraticamente parlando, sarà quella del ’93, che segue ad una seconda Costituzione nel ’91. La Costituzione “giacobina” era la prima infatti a parlare di diritti sociali, dando una matrice di modernità al documento che però non entrò mai in vigore e fu sostituito due anni dopo da una Costituzione più moderata che parlava anche di doveri del cittadino. Dovendo tracciare un bilancio delle prime Costituzioni moderne si devono considerare gli aspetti positivi e negativi di questi documenti: da una parte finalmente l’uomo si mette allo stesso livello dello Stato, anzi coincide con esso, e riesce a garantire i suoi diritti naturali; dall’altra esiste una questione degli “esclusi”: donne, uomini di colore, dunque schiavi e nativi, non venivano affatto tutelati. La controversia di questi documenti sta dunque nel fatto che nel proporsi di garantire dei diritti all’uomo, andavano a creare la categoria “uomo” e a ridurla a non tutta la popolazione. Bisogna comunque considerare che già il fatto di essere arrivati al punto di garanzia dei diritti e di sovranità del popolo, fu una grande innovazione per la società. Ogni Costituzione è figlia del suo tempo e in quanto tale la Costituzione Americana e quella Francese, che dovevano proporsi di dare all’uomo una dignità prima di tutto, non potevano di certo mirare a diritti “secondari” quali ad esempio la privacy, argomento che oggi può invece essere trattato. Le costituzioni moderne ponevano quindi le basi per quelle contemporanee: la Costituzione Italiana attinge profondamente, essendo liberaldemocratica, ai documenti promulgati a partire dal XVIII secolo. Essa si impegna infatti a rispettare i diritti involabili dell’uomo, a garantire l’uguaglianza tra cittadini, aggiungendo anche il diritto al lavoro e dei doveri fondamentali che non sono posti come dei veri e propri obblighi civili ma morali. Il ciclo partito con le carte settecentesche giunge al culmine nel 1948, anno nel quale viene promulgata la Dichiarazione universale dei diritti umani: essa ha l’arduo compito, come sappiamo dalla filosofia, di cercare una morale che possa risultare il più possibile oggettiva per ogni singolo essere umano, proprio come aveva provato a fare qualche secolo prima Ugo Grozio con la sua opera “De iure belli ac pacis”. Anche nella Dichiarazione universale, a differenza delle prime carte costituzionali, c’è l’estensione del diritto al campo socio-economico e non solo a quello politico. Quest’ultima affermazione ci porta a poter stabilire precisamente in che modo sia avvenuta l’evoluzione del diritto dal ‘700 ad oggi: dalle prime Costituzioni che dovevano farsi garanti in primis della libertà e della vita umana, brutalmente oppresse nel corso dei secoli precedenti, si è passato a delle Costituzioni che spaziano su più fronti, avendone la possibilità, poiché hanno già garantito a gran parte della popolazioni i diritti che a loro spettano.


I diritti dell’uomo: figli della storia… e della geografia

di Salvatore Messina

Il 539 a.C. è un anno scolpito sulla linea del tempo della storia dell’umanità. In quel periodo si assisteva all’espansione del potentissimo impero Persiano, e in particolare in quell’anno, l’esercito dell’imperatore Ciro il Grande conquistava la città di Babilonia. Tuttavia, l’importanza di questa data è dovuta non tanto a tali fatti politici, ma piuttosto alle conseguenze civili e sociali di questi avvenimenti. Al 539 a.C. risale, infatti, il famoso cilindro di Ciro, un’iscrizione cuneiforme riconosciuta da diversi studiosi come la prima carta dei diritti umani della storia dell’umanità. L’imperatore persiano, da poco al potere, attraverso questo documento, espressione del suo rispetto per l’umanità e promotore di una forma di tolleranza religiosa e di libertà (come testimoniato anche nel “Libro di Esdra” della Bibbia), ottenne il sostegno dei suoi sudditi. Il cilindro di Ciro rappresenta, però, solo la prima tappa di un percorso vallonato, per utilizzare una metafora ciclistica, come la storia dell’evoluzione dei diritti umani.

La democrazia ateniese rappresenta il vertice di questo percorso nell’età antica. Sebbene i diritti politici fossero garantiti solamente ai cittadini ateniesi maschi (erano esclusi dalle assemblee donne, schiavi e meteci), tra questi vigevano l’isonomia, l’uguaglianza di fronte alla legge, e l’isegoria, la libertà di parola concessa a tutti all’interno delle assemblee.

 Ad Atene, però, il concetto di libertà era comunque legato strettamente alla comunità. Fu solo quando effettivamente la Grecia perse la libertà politica sotto l’impero di Alessandro Magno che, grazie alla diffusione delle nuove filosofie ellenistiche, il concetto di libertà divenne proprio dell’individuo, essendo inteso come libertà dalle passioni e dai condizionamenti. Tra le filosofie ellenistiche, quella che più ha influito nell’evoluzione dei diritti umani è sicuramente lo stoicismo. Sono i filosofi della stoà, per l’appunto, i primi che affermano l’uguaglianza di tutti gli uomini, senza distinzione di genere e di razza, in quanti tutti figli e partecipi di un ordine divino e universale, il logos.

Il passaggio all’età medievale, tuttavia, portò presto alla dispersione di questi ideali di fratellanza fra popoli e di uguaglianza fra cittadini. Il Medioevo, infatti, fu caratterizzato soprattutto dalle guerre di religione, che si protrassero fino ai primi secoli dell’età moderna, e dalla nascita delle monarchie nazionali, che si configurarono presto come governi votati all’assolutismo. La discordia tra popoli e l’assoggettamento dei contadini ai soprusi dei signori feudali e dei cittadini di una nazione alle vessazioni dei sovrani, avevano distolto l’attenzione dalla questione dei diritti umani. Unico bagliore di luce nell’oscurità del Medioevo fu la Magna Charta Libertatum, che il re d’Inghilterra Giovanni Plantageneto fu costretto a firmare dal suo popolo nel 1215. Essa stabiliva l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, il diritto di tutti i cittadini di avere processi imparziali (principio dell’Habeas Corpus), di possedere ed ereditare proprietà e di essere protetti da tasse eccessive. Tutti questi diritti, che al tempo sembravano concessioni anacronistiche fatte da un sovrano incapace ad un popolo ricco e pretenzioso, divennero ben presto riconosciuti tra i principali diritti dell’uomo.

A cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento, la nuova spropositata fiducia nelle capacità intellettive e pratiche dell’uomo allargò notevolmente gli orizzonti. L’uomo adesso poteva essere “faber fortunae suae”, artefice del proprio destino, e non si rassegnava più ai soprusi subiti nel Medioevo. Per legittimare la sua posizione in un contesto socio-politico opprimente come lo erano gli Stati assoluti del Cinquecento e del Seicento l’uomo aveva bisogno di diritti. Riprendendo allora alcuni concetti dello stoicismo e della filosofia scolastica, l’intellettuale olandese Huig Van Groot, latinizzato Ugo Grozio, diede vita alla corrente filosofica del giusnaturalismo; secondo l’ideologia giusnaturalistica l’uomo possiede per natura dei diritti inviolabili, tra cui i diritti alla vita, alla libertà personale e alla proprietà, che i governi devono rispettare e garantire. Dal giusnaturalismo derivano quindi due correnti filosofiche che caratterizzano non solo il Seicento, ma anche i secoli successivi: il contrattualismo di Thomas Hobbes, secondo il quale il potere è dato al sovrano dal popolo, che cede a lui tutti i suoi diritti eccetto il diritto alla vita, e il liberalismo di John Locke, secondo il quale il sovrano che non garantisce i diritti naturali del suo popolo deve essere sovvertito. Figlie di questi ideali sono le due rivoluzioni inglesi, che hanno portato alla concessione di due carte dei diritti, la Petition of Rights (1628) e il Bill of Rights (1689), simbolo non tanto di nuove libertà (anche se non rispettati, gli stessi diritti erano garantiti dalla Magna Charta), quanto di un’accentuazione del liberalismo politico inglese e della necessità di garantire all’uomo dei diritti inalienabili.

Questo obiettivo sarà fatto proprio anche dai filosofi illuministi, che all’ideologia di Locke si rifacevano. La separazione dei poteri di Montesquieu, la tolleranza religiosa di Voltaire e i concetti di “democrazia diretta” e di “volontà popolare” di Rousseau furono i principi che ispirarono i due principali sommovimenti del Settecento, la rivoluzione americana e la rivoluzione francese. Sebbene una sola delle due abbia avuto effettivamente esito positivo, entrambe hanno portato però alla formazione di una carta costituzionale con annessa dichiarazione dei diritti dell’uomo, che per la prima volta nella storia fu voluta dal popolo e non fu concessione di un sovrano (anche nella democratica Atene la costituzione era stata data dai legislatori Solone e Clistene), simbolo della trasformazione dei sudditi in liberi cittadini.

Sintesi delle idee giusnaturalistiche, contrattualistiche e illuministiche, la “Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America” e la “Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino”, redatta dai francesi e corollario delle diverse costituzioni nate in seno alla rivoluzione, ribadiscono finalmente al loro interno i diritti inviolabili dell’uomo: il diritto alla vita, il diritto di proprietà, il diritto dell’habeas corpus, il diritto alla libertà (di opinione, di religione e di stampa), il diritto alla ricerca della felicità. Anche esse, però, presentavano ancora dei limiti, evidenziati anche dalle costituzioni sempre più democratiche che si sono susseguite nel corso della rivoluzione francese, che riguardavano proprio il concetto di “uomo” e il concetto di “diritto fondamentale”. Entrambe le carte, infatti, escludevano le donne dal possesso dei diritti fondamentali, che per la Costituzione americana erano preclusi anche ai neri, e riconoscevano come diritti fondamentali solamente i diritti civili, ovvero le varie libertà individuali e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge; non erano dunque riconosciuti come diritti fondamentali e inviolabili il diritto di voto e i diritti sociali, come il diritto alla salute, all’istruzione e alla sicurezza, che solo in parte erano stati garantiti dalle costituzioni dell’89, del ’91, del ’93 e del ’95.

Questi diritti saranno poi conquiste delle carte costituzionali che nasceranno negli Stati europei ed extra-europei nei due secoli successivi. Le lotte dell’Ottocento porteranno lentamente i cittadini all’ottenimento dei diritti politici, che saranno riconosciuti a tutti solo nel Novecento, quando gli stessi cittadini cominciarono a reclamare anche i principali diritti sociali. Solo in seguito alla barbarie della Seconda Guerra Mondiale, finalmente, nella maggior parte degli stati del mondo saranno riconosciuti ai cittadini tutti i diritti fondamentali, attraverso le nuove costituzioni democratiche e la “Dichiarazione universale dei diritti umani”, sottoscritta nel 1948 da tutti gli stati membri dell’ONU. Un chiaro segnale di come i diritti dell’uomo siano figli del tempo in cui si vive.

Sebbene in queste carte siano riconosciuti a pieno titolo tutti i diritti civili, sociali e politici per tutti i cittadini, non in tutti gli stati questi diritti vengono effettivamente applicati. Come quando ad Atene vigeva la democrazia e nel frattempo a Sparta i neonati con malformazioni venivano gettati dal monte Taigeto, come quando in Inghilterra veniva firmata la Magna Charta e nel frattempo in Francia venivano perseguitati catari e valdesi, così adesso, mentre gli Stati Uniti si professano alla Casa Bianca come il primo Paese liberale della storia, dall’altra parte del mondo guerre su guerre, in cui anche gli stessi Stati Uniti sono costretti ad intervenire con mezzi tutt’altro che liberali. E allora ne viene fuori che i diritti dell’uomo non sono soltanto figli del tempo in cui si vive, ma anche del luogo in cui si vive. Per questo motivo, l’evoluzione dei diritti umani è paragonabile ad un percorso vallonato: si sono vissuti già molti alti e bassi in un cammino che ancora lontano dal concludersi.


"Non è ammessa la pena di morte".

di Maria Grazia Bonofiglio

Per pena capitale o pena di morte si intende quella sanzione penale la cui esecuzione consiste nel privare della vita il condannato. Cesare Beccaria, un marchese lombardo, nel suo celebre opuscolo "Dei diritti e delle pene", uscito a Livorno nel 1764 e anonimo per evitare guai con la censura, affrontò l' aspra diatriba riguardante la tortura e la pena capitale illustrandone, in particolar modo, tutte le peculiarità e i vari pro e contro a essi correlati. L' opera, inoltre, condizionò i sovrani del  tempo. Beccaria nel suo opuscolo mirava, principalmente, ad ampliare l' offerta di riforma dell'amministrazione della giustizia disposta sulla chiarezza e sulla certezza del diritto e della "clemenza" delle pene, manifestandone l'infamia della tortura e l'inutilità della pena di morte. Analizzando in maniera microscopica la pena capitale si parte dall'Antico regime le cui pene, di solito, non erano proporzionate all' effettiva gravità del reato, la sentenza di morte, difatti, era prevista per un numero consistente di reati, anche molto comuni, e veniva eseguita apertamente con modalità spettacolari, il quale fine era quello di riconfermare l' autorità del sovrano di fronte ai sudditi. Infine, si era in presenza di una legislazione oscura e contraddittoria, il prodotto di norme e codici, di privilegi e giurisdizioni particolari, in breve: tutto tranne che un diritto lineare e sicuro. Il marchese Cesare Beccaria partiva dall'idea per cui lo Stato nasce da un patto tra i suoi membri al fine di garantire ad ognuno il godimento dei diritti fondamentali e la sicurezza di tutti. Dunque, anche la pena si muove su questa scia: il suo scopo non deve essere quello di eseguire una vedetta (ossia rispondere al male compiuto con un altro male), bensì quello di permettere il raggiungimento di una condizione di sicurezza collettiva. In un capitolo tratto dal suo opuscolo "Dei diritti e delle pene", egli delucida quello che per lui è il principale argomento contro la pena capitale. Beccaria, pertanto, sostiene che uccidere un cittadino potrebbe essere lecito se la sua morte diventasse "il vero ed unico freno", così lo definisce, per prostrare altri dal commettere delitti. Se ci si sofferma però a tali parole si sa bene che, nella realtà e vista l' animale-razionale che la domina, che non è così e quindi si deve pensare ad un altro modo per punire i crimini. Egli suggerisce, ebbene, lunghe pene carcerarie accompagnate da lavori forzati e ribadisce che, a parer suo, la pena di morte non è né utile e né necessaria. Giustamente all’Italia viene universalmente riconosciuto un ruolo di avanguardia nella battaglia per l’abolizione della pena di morte. Il nostro è un Paese del tutto abolizionista, lo è sempre stato. Non è un caso, invero, che il primo Stato al mondo ad abolire la pena capitale sia stato il Granducato di Toscana nel 1786,  sotto il regno di Pietro Leopoldo Asburgo Lorena e seguito successivamente dalla Repubblica di San Marino nel 1865. Nel Regno d’Italia la pena di morte è stata cancellata nel 1889 con l'approvazione, quasi all'unanimità da parte di entrambe le Camere, del nuovo codice penale, durante il ministero di Giuseppe Zanardelli. Tuttavia, la pena di morte era stata  abolita di fatto fin dal 1877, l' anno dell'amnistia generale di Umberto I di Savoia. Uno degli ultimi condannati celebri fu l'attentatore alla vita del re Giovanni Passannante nel 1879, la cui esecuzione non fu però eseguita e la pena commutata in ergastolo. La pena capitale restò però ancora in vigore nel codice penale militare e in quelli coloniali, venendo applicata duramente nel corso della prima guerra mondiale (1915-1918) per fatti di diserzione, insubordinazione e "comportamento disonorevole", anche contro soldati innocenti, per poi essere reintrodotta nel 1926 per tutto il ventennio fascista e nuovamente eliminata, per i soli reati commessi in tempo di pace, con l’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana nel 1948. Infine, solo con la legge costituzionale n. 1 del 2 ottobre 2007, che ha modificato il quarto comma dell’articolo 27 della Costituzione, il quale ora recita semplicemente: "Non è ammessa la pena di morte", quest' ultima è stata eliminata definitivamente anche dal codice militare di guerra.

In ambito Internazionale, poi, non ci si dimentichi che è stato proprio il Governo Italiano il primo a portare davanti alla Commissione Diritti Umani di Ginevra la questione della "moratoria universale", un  importante traguardo raggiunto il 18 dicembre 2007 e approvata dall’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite (con 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti) con la quale è stata decretata la sospensione a tempo indeterminato della esecuzione delle sentenze capitali in tutti i paesi membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Insieme all' Italia un altro paese all' avanguardia per quanto riguarda la pena di morte è l'Europa, attualmente l' unica parte del mondo in cui le esecuzioni sono bandite, infatti nel 2000 l' Unione Europea ha inserito nella sua Carta dei diritti fondamentali l' esordio per cui nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato. Attualmente a prevedere e ad applicare la pena di morte sono solo alcuni paesi quali: India, Iran, Stati Uniti, Giappone, Cina.


Uccidere per difendere il diritto alla vita: il “no” dell’Italia

di Benedetta Persico

Lapidazione, impiccagione, iniezione letale, ghigliottina. In alcune parti del mondo si può persino scegliere di che morte morire, come per le modalità di una poltrona massaggiante. Non si tratta affatto di entità geografiche trascurabili: la pena capitale vige regolarmente negli Stati Uniti, in Giappone, in India e in Cina nonché nella maggior parte del Medio Oriente islamico e nel continente africano. Il 18 dicembre 2007 l'ONU, con 104 voti favorevoli, 54 contrari e 29 astenuti, ha approvato la Moratoria universale della pena di morte, promossa dall'Italia a partire dal 1994. Numerose sono le organizzazioni internazionali impegnate contro la pena di morte, prima fra tutte, per l’appunto, L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Più specificatamente, bisogna tenere conto delle organizzazioni internazionali per la salvaguardia dei diritti umani come Human Rights Watch, l’Istituto internazionale dei diritti umani, Amnesty International e, nel quadro dell’abolizione della pena capitale, Nessuno tocchi Caino, ONG italiana tra le principali promotrici della moratoria dell’UE contro la pena di morte. Non sorprende affatto che un’organizzazione non governativa tutta italiana – che opera a livello transnazionale – sia in prima linea per la difesa del diritto alla vita. Il 30 novembre 1786, il Granducato di Toscana abolì di diritto, per la prima volta al mondo, la tortura e la pena capitale. Di fatto aveva “abolito” la tortura e la pena di morte anche la Repubblica di Venezia quasi un millennio addietro. In ogni caso, rimane un primato tutto. Quasi vent’anni prima della abolizione di diritto nel Granducato di Toscana, il filosofo Cesare Beccaria aveva pubblicato un pamphlet, un libriccino di propaganda, che si intitolava “Dei delitti e delle pene”. Nel secolo del dispotismo illuminato, a partire dalla necessità di consolidare l’identità nazionale e nel tentativo di stabilire confini geografici e più in generale nella smania di supremazia degli stati europei, braccati dalla politica di equilibrio del trattato di Westfalia, i diritti umani costituivano una delle questioni più care alla filosofia illuminista. Certo, la base dei diritti umani sta tutta qui, in Voltaire, Montesquieu, Rousseau, nella Francia dei lumi. Quando si parla di pena di morte, ad ogni modo, non si può che fare riferimento all’Italia, che ha precorso i tempi di gran lunga ed è maestra di tolleranza. Beccaria sosteneva che la pena capitale incoraggiasse gli istinti delittuosi, non essendo affatto un trattamento esemplare; è dimostrato, a sostegno di una tesi di 300 anni fa, che i paesi in cui è vigente la pena di morte sono gli stessi paesi in cui il numero di crimini violenti è superiore: crolla, dunque, il primo e più solido deterrente all’abolizione della pena di morte, la sua azione “didascalica”. L’azione rieducativa del detenuto è da preferirsi ad un tipo di strategia non preventiva. Non è più giusto né per i familiari né per il reo e, nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un caso di cattivo svolgimento delle indagini, si potrebbe andare il contro al “delitto peggiore di tutti”, secondo Voltaire, l’omicidio premeditato di un innocente il cui mandante è uno stato che perde tutta la sua credibilità nel lotta ai crimini violenti, commettendo esso stesso un crimine violento e ingiustificato. E’ un po’ come in un vecchio slogan del movimento hippie degli anni ’60: “Bombardare per difendere la pace è come fare sesso per difendere la verginità”. Uccidere per difendere il diritto alla vita è una contraddizione in termini.


Processo all'Europa - 24/10/2017

Intervista a Pier Virgilio Dastoli - "Processo all'Europa" 24/10/2017 a cura di Vanessa Iuliano e Maria Laura Piane III A

Al Liceo Classico "D. Borrelli" di Santa Severina il processo all'Europa.

di Anastasia Lazzaro III B

 

Nella mattinata del 24 ottobre, gli studenti dell’Istituto Omnicomprensivo Diodato Borrelli, sono stati coinvolti in un processo simulato all’Unione Europea, dando loro opportunità di formulare proprie opinioni al riguardo. Come in un reale processo, esso si è articolato in base ad un’accusa, una difesa ed una giuria popolare, rappresentate dagli studenti stessi del Liceo; in seguito, l’organizzazione prevedeva la presenza di testimoni, i quali, Luigi Dell’aquila, Teresa Gualtieri,  Massimiliano Nespola, e Bruno Cortese , ed i referenti dell’ESN (erasmus student network), ovvero, Giuseppe Misdea e Francesco Cuzzocrea. L’importante ruolo di Presidente del Collegio giudicante, è stato svolto dal presidente del consiglio italiano del movimento europeo, Pier-Virgilio Dastoli, seguace di Altiero Spinelli; quest’ultimo , considerato uno dei  padri fondatori dell’unione europea, per la sua influenza sull’integrazione europea post-bellica.

Il dibattito ha avuto inizio affrontando il tema della cultura in Europa, la quale nasce da radici culturali molto profonde; L'UE intende salvaguardare il patrimonio culturale comune dell'Europa e contribuire a renderlo accessibile agli altri, oltre che sostenere la cooperazione tra le istituzioni culturali dei vari paesi. (il suo motto,  Unita nella diversità ,in latino In varietate concordia). Ciononostante,  durante il processo, è sorto un dubbio piuttosto reale, ovvero, che in Europa, ‘’si costruiscono più muri che ponti’’, a cui la maggior parte dei partecipanti ha concordato. Prendendo come esempio, il grande muro di Calais, dotato di una barriera per impedire che i migranti diano l’assalto ai traghetti che attraversano la Manica. Perciò, il quesito sorge spontaneo, perché si parla di ‘’unita nella diversità’’ se questa è destinata soltanto agli stati membri dell’UE, piuttosto che al resto della popolazione?

 Inoltre, sono stati trattati altri temi d’attualità , come la legalità, l'integrazione sociale e la diversità. In questo campo, sono state significative le parole della dott. essa. Gualtieri, la quale ha centrato il proprio discorso sulla necessità di affermare che la legalità non è altro che il rispetto dei propri diritti, ma soprattutto dei propri doveri, incitando i presenti ad iniziare nel loro piccolo a rispettare le diverse regole, aspirando a diventare cittadini responsabili.

Diverse sono state le accuse volte ai testimoni presenti; citandone alcune: il patrimonio culturale, l’istruzione, la politica della gioventù, i requisiti linguistici. Quest’ultima accusa prevedeva l’intervento da parte del Presidente Pier-Virgilio Dastoli, affrontando il tema della lingua, in particolare quella inglese, perché definita oggigiorno lingua ufficiale.  Interessante è stato l’intervento del presidente, il quale precisò che ‘’Le lingue appartengono alle nostre culture e se non le utilizzassimo noi stessi, scegliendo una sola lingua, sarebbe come se abbandonassimo il nostro stesso patrimonio di conoscenze ’’. è si importante imparare altre nuove lingue, cosi da riuscire a comunicare senza difficoltà con altri continenti, ma non bisogna dimenticare il proprio bagaglio culturale, la propria lingua, che sta alla base della nostra ricchezza personale.

In seguito, la conclusione del processo ha previsto la testimonianza personale di una ragazza greca, trasferitesi in Italia per studiare all’università di Reggio Calabria. Le sue parole riguardo la propria esperienza nel nostro Paese, hanno accattivato molto i presenti, facendoli ricredere del proprio territorio, delle proprie istituzioni, che noi tendiamo a sottovalutare, senza nemmeno conoscerle nella loro totalità; ciò dimostra che il nostre Paese, viene apprezzato maggiormente all’estero che da noi italiani stessi.  I ringraziamenti vanno volti alla dirigente scolastica dell’istituto, A. Ferrazzo,  ed ai proff. L. Biafora, M. Rizzo, A. Megna e M. Ammirati, che, rendendoci partecipi di questo evento, hanno arricchito la nostra esperienza personale, facendoci confrontare  con gente di particolare importanza. 

 

"L'Europa della Cultura e la valorizzazione del Patrimonio Culturale e Ambientale" di Giusy Bilotta III A

Martedì 24 ottobre, presso l'Auditorium dell'Istituto Omnicomprensivo "D. Borrelli" di Santa Severina, ha avuto luogo il processo simulato all'Europa dal tema "L'Europa della Cultura e la valorizzazione del Patrimonio Culturale e Ambientale". 

L'iniziativa, promossa dal Movimento Europeo Italia, coordinatore del progetto Agorà Europe, è stata organizzata dall'Istituto Borrelli, in collaborazione con la Commissione Europea, il Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca e il Comune di Santa Severina. 

Questo processo, spiega il Dottor Dastoli, è stato creato per dare ai ragazzi la possibilità di crearsi un’opinione critica sull’europa e  a prepararli a votare, una vota raggiunta l’età necessaria, con giudizio e consapevolmente. Aggiunge anche il desiderio di poter concretizzare quella che era l’idea degli “ Stati Uniti D’Europa” non come unione monetaria ma come unione di popoli. 

La parola viene passata poi al Dottor de l’Aquila che ha il compito di motivare l’iniziativa poiché ritiene, sopratutto oggi dopo i 60 anni dal trattato di Roma, che ci sia bisogno di più Europa in un momento in cui si verifica un ricambio generazionale.

E’ il Dottor Cortese  invece a dare una visione dell’U.E. come entità di culture unite  e non specifiche per poter andare oltre i confini geografici dei 27 stati ed accogliere gemellaggi e progetti nazionali che abbracciano politica, cultura, storia ed economia.

Una volta passata la parola agli studenti si fa una breve introduzione sulla tematiche che il processo andrà a trattare per poi passare ai capi d’accusa. 

 

Il primo capo tratta il problema dei beni culturali e dei fondi spesi male che mettono a dura prova i monumenti,  mentre il testimone ( Dr. De L’Aquila ) afferma che è vero che si tratta di organismi molto complessi giustificando però l’ U. E. poiché è essa a metterci i soldi.

 

Nel secondo capo d’accusa emerge invece la politica linguista dove i ragazzi si chiedono il perché della lingue inglese come lingua principale in un momento in cui L’Inghilterra chiede di poter uscire dell’Europa.

Così in un clima di attacchi, difese e testimoni nel mezzo si passa dal problema della cultura assoggettata dall’economia a quello della sicurezza informatica con il quale si chiede di prestare più attenzione ai cyber attacchi.

 

Si arriva così alla sentenza, data dalla giuria  composta dai ragazzi con l’aiuto poi dei vari rappresentanti, con la quale si riconosce all’ U. E. il merito di aver operato al meglio considerando che tutti i cambiamenti sono avvenuti in tempi lunghi ma con la consapevolezza di un’ Europa attenta alle sfide del futuro.


"Cultura e cittadinanza attiva: il ruolo della scuola nell'educazione alla legalità" - 07/10/2017

Incontro con il Questore di Palermo dott. Renato Cortese, S. E. il Prefetto di Crotone dott.ssa Cosima Di Stani e il Dirigente USP Crotone dott.ssa Rosanna Barbieri - di Eleonora Parise III B

Quanto è difficile fare del bene al giorno d’oggi? Quanto può costare mettere la propria incolumità molti posti dopo il proprio lavoro? Noi ragazzi del liceo classico Diodato Borrelli, nella giornata del 7 ottobre scorso abbiamo potuto assistere ad una vera e propria “lezione di vita”. Sembreranno parole banali a voi lettori, ma è stato esattamente così. La nostra scuola ha avuto l’onore di avere come ospiti alcuni tra i personaggi più importanti del nostro territorio, tra cui il Prefetto di Crotone dott.ssa Cosima Di Stani, il dirigente dell’ufficio scolastico provinciale di Crotone dott.ssa Rosanna Barbieri  e il Questore di Palermo dott. Renato Cortese. Di quest’uomo si conosce il coraggio, è famoso il suo lavoro pubblico, ma per noi studenti è stato curiosissimo poterlo osservare vicino al nostro mondo, trovare la spontaneità di qualcuno che vuole trasmettere veramente un messaggio, all’interno di parole che non sapevano assolutamente di predica. Alcuni pensano sia ormai inutile parlare di mafia, omertà, legalità, in paese in cui ormai, le prime due cose di questa serie sono fatti più che assodati e l’ultima cosa sembra appartenente soltanto ad un gruppo ristretto di sognatori incalliti. Ma non è così. L’indifferenza è il male peggiore che può colpire una società e noi abbiamo il dovere, se non il diritto, di trasmettere e ricevere informazioni di questo cancro che da sempre è stato chiamato comunemente “mafia”.  Insieme ai nostri ospiti abbiamo potuto riflettere e osservare come essa ormai si riesca a nascondere nelle piccole cose, cose che ci sfuggono alla vista e al pensiero perché consideriamo banali e scontate. Ci siamo sentiti, al termine del dibattito, in dovere con noi stessi e con il nostro Paese, perché certamente un piccolo gesto non cambierà le cose, ma ci avvierà verso un processo di cambiamento in cui tutti, con lo stesso coraggio e lo stesso impegno, possiamo un po’ diventare il dott. Renato Cortese.