I. Calvino "Se una notte d'inverno un viaggiatore" di B. Persico IV A

“…di quel mondo invisibile che è la lettura, lo scorrere dello sguardo e del respiro, ma più ancora il percorso delle parole attraverso la persona, il loro fluire o arrestarsi, gli slanci, gli indugi, le pause, l’attenzione che si concentra o si disperde, i ritorni indietro, quel percorso che sembra uniforme e invece è sempre mutevole e accidentato.”

Un lettore qualsiasi si addentra nella lettura del nuovo libro di Italo Calvino “Se una notte d’inverno un viaggiatore”. Le prime pagine lo invitano a continuare, a farsi strada nella nebbia che offusca la vista nel primo luogo del romanzo, una stazione del treno. Compaiono le prime figure che sembra possano avere un qualche ruolo specifico all’interno di questa vicenda dai contorni fin troppo sfumati. Ad un certo punto l’anonimo lettore volta pagina ed ha come l’impressione di rileggere le stesse frasi di una decina di pagine prima… Per un errore di impaginazione non può portare avanti la sua lettura e così viene interrotto con altri nove romanzi. Per dieci volte il povero lettore è costretto a lasciare la storia sul più bello da sconvolgimenti estranei alla sua volontà: da un banale errore di impaginazione a un artista che smembra libri per realizzare le sue opere fino a un complotto tra fittizi stati nel Sudamerica. L’affannosa ricerca del lettore lo porterà a concludere finalmente almeno uno di questi libri? Riuscirà il lettore a conquistare la lettrice, sua compagna d’avventura? “Un romanzo sul piacere di leggere romanzi”, tanto intricato quanto finemente incastrato. Ogni parola viene calcolata, sottoposta ad un’autopsia, vagliata più che riversata spontaneamente sul foglio. Non è l’audacia né l’estro di Calvino ad aver reso questo libro degno di memoria nel cuore di chi lo ha letto, dopotutto l’espediente letterario del proteiforme deus ex machina che non permette al protagonista di “sapere come va a finire” è lo stesso topos letterario delle Mille e una notte. Un appassionato lettore non sottolinea interi periodi per il virtuosismo di Calvino nella sua capacità di scrivere racconti i cui stili sono completamente estranei al suo precedente repertorio, dopotutto ogni scrittore che si rispetti deve – o almeno  dovrebbe – essere in grado di cimentarsi in esercizi di stile. Questo libro è sui generis perché racconta di libri, di un lettore in cui possiamo (o dobbiamo?) immedesimarci tutti. Le pagine in cui Calvino si “lascia andare” sembrano essere solo quelle in cui per bocca del lettore, a cui dà sempre del tu, imprime sul foglio l’amore per i libri, per le parole, per chi si perde ancora tra le pagine. E’ sbagliato ridurre questo libro al “razionalismo verbale” di Calvino, che gioca, astrae, struttura l’intero romanzo su giochi di logica verbale e come in un manuale per scrittori alle prime armi spiega gli espedienti di cui si serve uno scrittore con tanti anni di esperienza alle spalle nel creare la suspense, ad esempio, omettendo alcuni dettagli o insistendo su alcune parole chiave. Le pagine di questo libro fluttuano tra il favolistico e la geometrica organizzazione, sono sia una matrioska variopinta di storie e, al contempo, un tangram, il rompicapo cinese con cui, pur scomponendo la perfezione del quadrato è possibile comporre qualunque forma si desideri. Il romanzo suggerisce un’idea di imperfezione: nulla può essere finito, perfetto, quello che si scrive non corrisponderà mai a tutto quello che è “può essere scritto”; quello che si scrive necessita di un’operazione di scarto, ed è così che nella presentazione Calvino propone un’ulteriore schematizzazione del romanzo, in cui ad ogni scelta corrisponde uno scarto che, a sua volta, si biforca e propone un ulteriore possibile scarto e un ulteriore possibile scelta. Ed è così che ciò che Calvino sceglie è la scrittura. La somma delle scelte è il libro che siamo in grado di leggere, ma che è solo una parte millesimale rispetto al tutto. In risposta ad alcune domande pubblicate sull’”Analfabeta” dal critico Angelo Guglielmi, Calvino cita il Platone che nel Sofista fa l’esempio del pescatore e della lenza per riferirsi a queste biforcazioni, al lavoro di scarto e all’impossibilità di raggiungere la completezza. In fin dei conti ciò che Calvino intende comunicare è che “Non si torna indietro. Per questo è difficile scegliere. Devi fare la scelta giusta. ma finché non scegli, tutto resta ancora possibile.”, citando “Mr. Nobody” (di Jaco Van Dormael, 2009), un film che in molti tratti somiglia alla storia del viaggiatore.